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Martin Mystère a colori

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Un post veloce veloce solo per segnalarti che da oggi, in edicola, ci trovi il primo numero della Collezione Storica a Colori dedicata a Martin Mystère.
Dopo Tex, Dylan Dog e Zagor, Repubblica e L'Espresso arricchiscono ulteriormente il connubio con la Bonelli riproponendo le avventure a colori del Detective dell'Impossibile in 20 uscite settimanali (tante ne sono previste, per ora) che andranno a coprire i primi 51 albi originali.
Occasione tanto più ghiotta se si pensa che l'ultima ristampa di queste storie risale al TuttoMystère che cessò di essere pubblicato nell'ottobre 1992.

A Martin Mystère sono legati tanti ricordi (ed è una delle poche serie regolari che acquisto ancora oggi) e ho sempre pensato che, al suo esordio in edicola nel lontano aprile 1982, abbia cambiato in parte le sorti del fumetto nostrano abituato, sino a quel momento, a non spingere mai troppo sull'acceleratore della fantasia (a parte qualche rapida sortita).
Un personaggio fondamentale, insomma, contraddistinto prima di tutto dalla meravigliosa verve del suo stesso autore, Alfredo Castelli.


P.S.: Il prezzo questa volta è lievemente più alto (7,90 euro a volume) e il primo non è nemmeno offerto al prezzo lancio di 1 euro com'è sempre accaduto precedentemente. Ma per chi non ha mai letto queste storie, val proprio la pena farci un pensierino. Soldi permettendo.

Esatto, una postfazione

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Dopo aver segnalato il bellissimo web comic Esatto di Lorenzo Palloni a maggio scorso, il titolo in questione ha trovato la sua giusta collocazione trasformandosi, come mi ero augurato, in uno splendido cigno di carta. Un importante volume quadrato da 192 pagine in bianco e nero, in formato 20x20 centimetri, che raccoglie l'intera serie (pubblicata originariamente, ti ricordo, sul sito del collettivo Mammaiuto). Il tutto all'appetibilissimo prezzo di 15 euro, non uno in più, non uno in meno.


Il fato vuole che Lorenzo, dopo aver letto quelle quattro righe che gli avevo dedicato, abbia chiesto proprio a me di scrivere la postfazione in calce al volume. Ovviamente ho accettato ed è stato effettivamente un gran piacere collaborare a quest'opera, anche solo per un frammento.

La mia postfazione comincia così: 


Puoi comprare il volume direttamenteQUI. Di mio posso solo aggiungere che se ti interessa il genere, di sicuro non ti pentirai dell'acquisto.

Infine, colgo occasione per ringraziare Lorenzo che mi ha anche fatto dono (apprezzatissimo) del prezioso volume con tanto di disegno e dedica.

 

Super Mario Alberti

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Qualche tempo fa, la Industrial Light & Magic, assieme a Wacom e ArtStation, ha organizzato un contestmolto particolare (supervisionato dall'ILM Art Department) dando l'opportunità a cartoonist e illustratori in giro per il mondo di provare l'emozione di lavorare come concept artist su uno dei brand fanta-cinematografici più noti di sempre.
Il contest ha infatti raccolto le sfide di migliaia di partecipanti (quasi 4000, trai quali molti professionisti già affermati) che avevano il compito di visualizzaremomenti chiave, nuovimodelli di veicoli,personaggi, design tecnologicie battaglieepichedell'universo di Star Wars.

E chi ha vinto, ti chiederai?
Ebbene, l'italianissimo Mario Alberti (firma ormai prestigiosa del fumetto italiano, americano e franco-belga) è riuscito a piazzarsi primo con una serie di illustrazioni (sketch dal tratto più rapido rispetto alle sue solite cose) che riprendono a meraviglia l'atmosfera tipica della saga di Lucas.

Qui sotto ti piazzo le cose più belle (clicca per ingrandire), mentreQUI trovi la gallery completa con tutte le sue illustrazioni.












Tesoro, mi si è ristretto il blogroll

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Ti ho raccontato brevemente di come non avessi più tanta voglia e tempo di postare cose su questo blog. Un post a settimana, però, evidentemente è ancora troppo. La stessa piattaforma blogger, infatti, ha cercato di farmi passare completamente la voglia sottraendo furtivamente, e senza ritegno alcuno, gli elementi che arricchivano la mia colonnina di destra. Così. Da un giorno all'altro e senza una ragione apparente.
Link raccolti negli anni che portavano a meravigliose pagine a tema fumetto, illustrazione, book design, graphic design e compagnia cantante.
E con quelli, addirittura il blogroll con i blog (amici e non) da seguire.

Ovviamente non ci penso proprio a ricostruire il tutto. Ho solo cercato di mettere insieme il blogroll. Prima c'erano una ventina di link, ora appena una manciata. Questo perché non ricordo quali fossero gli altri. Se qualcuno si è sempre visto tra quelle righe e ora magicamente è scomparso, porti pazienza e si faccia sentire in modo che io possa provvedere a reinserirlo.

E che ti prenda un accidente, cara piattaforma blogger che tanti servizi mi hai offerto gratuitamente in questi anni ma che ogni tanto te ne esci con delle cose da schiaffoni destra/sinistra a braccia tese. Capisco che siamo in tempi di crisi, ma tagliare pure sui blogroll. Poi dice che uno passa a wordpress.

P.S.: Per dispetto, guarda, e solo per dispetto, questa settimana posterò qualcos'altro. Non so ancora cosa, ma posterò.

Sfida nel Montana

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Come lo dobbiamo chiamare? Il minitexone? O dobbiamo connotarlo alla francesona? Il Texwillèr? Perché non è che "Tex Romanzi a Fumetti" brilli particolarmente, in quanto a originalità.

Sia come sia, per la quarta uscita (ormai ampiamente assestata sulla periodicità semestrale), l'albo cartonato a colori di Tex vede Gianfranco Manfredi ai testi e il bravissimo Giulio De Vita ai disegni.
In Sfida nel Montanai due autori immergono un giovane Willer appena ventenne tra le meravigliose montagne innevate al confine con il Canada e lo lanciano in soccorso di Birdy, un "vecchio" amico che ha il vizietto di mettersi nei guai. Questa volta, nientemeno, ha delle questioni in sospeso con i trappers dell'American Fur Company, che pretendono di dettare legge nella zona, e con un gruppo di indiani Blackfeet.


Manfrediè Manfredi e non si discute. Scrive e sceneggia sempre a modo e senza sbavature. L'impressione generale, però, è quella che alcuni autori non abbiano ancora preso le misure alle potenzialità espressive che il passaggio ad un formato del genere comporta. Il colore, l'ampiezza della tavola stessa e il numero di vignette per pagina, rende questo un albo alla francese (e questo lo abbiamo capito), mentre invece, tra tempi di lettura e dinamiche narrative varie, qui mi sembra di aver letto una delle storie brevi contenute in un Color Tex quasiasi, né più né meno.

Spesso sulla serie regolare i vari sceneggiatori tendono a saturare le vignette con verbosi didascalie e loquacissimi dialoghi, mentre qui, che al contrario di spazio (per pagina) ne avrebbero molto di più, sembrano prediligere un respiro maggiore in modo da rendere protagonista la parte grafica.
Il che mi va anche bene. Lo trovo giusto. La questione è che leggi tutto in dieci minuti. E' un problema? In generale direi di no. Non giudico certo una storia a fumetti dal tempo di lettura. Ma in futuro mi piacerebbe leggere, in questo formato, qualcosa di un pelo più strutturato a livello narrativo.
Qui, insomma, il prodotto è differente per via del taglio e delle inquadrature, ma spesso sembra essere stata semplicemente ingigantita la classica gabbia bonelliana non spingendosi quasi mai oltre le cinque o sei vignette.


Intanto mi sono goduto le bellissime tavole di Giulio De Vita, cartoonist friulano tornato a lavorare in Italia proprio con questo speciale di Tex (per anni ha lavorato in Francia alle edizioni Le Lombard, soprattutto sulla serie spin-off I Mondi di Thorgal: Kriss de Valnor che vedremo qui da noi tra un paio di mesi nell'edizione economica della Gazzetta).
De Vita incesella delle tavole incantevoli che si lasciano ammirare per una sontuosa ricchezza dei particolari e per un'inchiostrazione davvero raffinata. Esemplari le sue distese innevate in Montana.
E i complimenti vanno anche a Matteo Vattani che si è occupato dei colori, interpretando con affascinante profondità tratto e ambientazioni.

Morale della favola: come per le precedenti uscite, Sfida nel Montana presenta un grande affresco grafico per una storia breve e veloce che si legge volentieri, ma priva di qualsiasi elemento che possa renderla davvero "speciale".In questi albi cartonati, la novità dovrebbe essere rappresentata prima di tutto da un giovane Tex pre-ranger, scapolo, privo di prole e con qualche scrupolo in meno. Ma spesso non si va oltre la figura leggendaria che diventerà in futuro: duro come una roccia, veloce con la pistola e sempre pronto a gettarsiin missioni suicide pur di aiutare il prossimo.

Ma questo è il Tex che piace. E forse è giusto che sia così. 
O forse anche no.

Eins, zwei, drei, vier, fünf UT sechs

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Una veloce riflessione su UT, la miniserie Bonelli firmata da Corrado Roi (suo anche il soggetto, oltre ai disegni) e Paola Barbato (sceneggiatura) di cui tanto si è parlato ma la cui eco si è spenta misteriosamente nell'etere all'uscita dell'ultimo albo (potere della critica di settore).


UTè un esperimento serio e ragionato. E' uno dei prodotti Bonelli che ha cercato più di tutti di uscire dal canone classico, per raccontare una storia distopica e surreale che cerca di piantare meno paletti possibili.
Narrata senza paura che il lettore medio (o occasionale) possa avere pochi punti di riferimento o che debba "lavorare" di pari passo con la trama per riempire con la propria fantasia dei sospesi lasciati lì apposta per giocare (gli "originali", gli architetti, le case). Sarebbe curioso sapere cosa ne pensa davvero questo tipo di lettore e, se ha portato a termine la lettura, come ha interpretato il tutto, lui che da sempre è abituato alle precise parentesi che prima di aprono e poi immancabilmente si chiudono come accade da sempre, per dire, su Tex o Diabolik.

UTè una fiaba nerissima e tetra, dove l'horror è meravigliosamente dipinto in modo grottesco e crepuscolare eche si pone in una realtà ancestrale senza spazio e senza tempo.
Il protagonista, Ut,è un uomoprivo di identità che se ne va in giro cacciando insetti con un gattino nello zaino e con il volto celato da una maschera di pelle (con quella cerniera sulle labbra che fa subito sadomaso). Una mente disturbata, insomma, spesso e imprevedibilmente preda di improvvisi e violenti raptus omicidi durante i quali non si fa troppi problemi a lasciare cadaveri per strada grazie all'uso di una lama ricurva (non male rispetto al politically correct di cui tanti lettori si lamentano).


UTè il lavoro migliore e più intenso di Corrado Roi a livello grafico. Non ha mai sfiorato questa sontuosità e il suo è l'omaggio più puro che possa esistere al cinema espressionista tedesco. L'ispirazione alla bellissima pellicola di Robert Wiene del 1920, Il Gabinetto del Dottor Caligari (citato nel nome stesso di uno dei protagonisti della storia) è felice e profonda. E forse nessun altro avrebbe saputo fare di meglio di Roi.
Oso un azzardo un po' stupidino (mi rendo conto che è un assurdo).Spesso mi ha sfiorato l'idea che se Roi avesse disegnato meno pagine di quante effettivamente ha realizzato fino ad oggi (tantissime), domani sarebbe stato ricordato come un Maestro autentico al pari di Sergio Toppi o Dino Battaglia. O forse sarà ricordato comunque come tale e la mia è solo una sciocchezza.

Per quanto mi riguarda, uno dei meravigliosi picchi surreali più alti viene toccato con il secondo episodio, con la storia del cancello composto da corpi vivi e dalle successive dinamiche di fuga e ritorno. Stiamo parlando di qualcosa che a livello narrativo non abbiamo mai visto in un albo Bonelli.


Per quanto riguarda la storia, difetti non me ne vengono in mente. Forse il tutto sarebbe potuto durare uno o due albi in meno. Ma anche no.
Se invece dobbiamo dare retta all'opinione da scaffale e dare attenzione alla confezione del prodotto (cosa che io sono abituato a fare da sempre per una questione professionale), bisogna ammettere che graficamente UTè il prodotto forse tra i meno riusciti dell'editore milanese. I "sofismi" visuali come le parti composte sempre da materiali diversi (metallo, cemento, ruggine, cuoio, venature marmoree e mattoni tenuti su da cuciture a filo, borchiette di metallo e viti) e la font simil gessetto con quel "N. 1" stampigliato in copertina, sono cosette da discount.
Una volta accostati uno all'altro, insomma, quella che si vede sullo scaffale è un'accozzaglia di effettacci colorati che non rende assolutamente giustizia all'opera.E le variant cover, per quanto alcune possano risultare anche"graziose", ci azzeccano poco o nulla con lo spirito della serie (a stonare è la natura stessa del colore, lezioso e curato, rispetto ad un immaginario nato proprio per essere in bianco e nero).

Corrado, perdonami, ma sembrano i volantini diBricoliamo ("Speciale decorazioni da parete").

Permettimi questo piccolo gioco di fingermi al potere: fosse dipeso da me, i sei albi avrebbero avuto un'illustrazione di Roi, assolutamente in bianco e nero (nell'oceano di carta colorata delle edicole,sarebbero spiccate anche molto di più), a coprire interamente prima e quarta di copertina. Il dorso tutto nero o al limite arricchito con parte di un disegno che alla fine, vedendoli uno accanto all'altro, avrebbero composto un'altra illustrazione di Roi, uno di quei bellissimi contrasti tra bianco e nero che solo lui sa ricamare così bene (cosa che ho poi scoperto essere stata fatta con le variant, come puoi vedere QUI, ma con un risultato abbastanza anonimo).E così avremmo accontentato anche chi guarda (giustamente) alla confezione.
Ma sono sicuro che una maggior cura verrà messa nel futuro omnibus che raccoglierà tutta la serie e che la Bonelli non tarderà a mettere in cantiere.

Ma queste sono quisquilie. Quello che conta è che UT, alla fine, si sia rivelata un'esperienza di lettura straniante e diversa (soprattutto diversa) e che nonostante non manchino acredine, odio e sangue, tra le sue pagine non si è mai vista, nemmeno per scherzo,una pistola o un'arma da fuoco ("capro espiatorio" per antonomasia di ogni storia d'avventura e non del fumetto seriale italico).
E questo non credo sia mai accaduto, in una serie (o miniserie) Bonelli.

Avércene.

Simon Stalenhåg

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Classe 1984, Simon Stalenhågè un acclamato concept designer scandinavo, noto prima di tutto per i suoi visual di genere fantastico che ritraggono tecnologie e creature meccaniche legate a doppio filo con l'immaginario sci-fi, ma immerse in iperrealistici paesaggi scandinavi.Il suo libro illustrato Ur Varselklotetè stato classificato dal Guardian addirittura come una delle "10 migliori distopie", in compagnia di prestigiose opere letterarie (Il Processo di FranzKafka) e cinematografiche (Gattaca di AndrewNiccol).

I suoi lavori come concept artist e illustratore, hanno arricchito anche il mondo dei videogames (Ripple Dot Zero, del 2013) e del cinema (Searching for Sugar Man,celebre documentario premiato con l'Oscar nel 2013, diretto da Malik Bendjelloul e incentrato sulla storia del cantautore statunitense Sixto Rodriguez).Detto questo, Stalenhågè semplicemente quel che appare. Un fine visionario che riesce a dare calore alle proprie opere con una meravigliosa, incredibile atmosfera realistica.Qui sotto trovi una selezione dei suoi lavori più belli (clicca per ingrandire).QUI, invece, il suo sito ufficiale.




















Ted Benoit

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Il 30 settembre scorso, all'età di 69 anni, se n'è andatoTed Benoit, noto cartoonist francese tra i continuatori più affermati della ligne claire, tradizione grafica nata con Hergé e E. P. Jacobs.
Tra i tanti lavori viene ricordato soprattutto per essere stato tra quelli che hanno ripreso la serie Blake e Mortimer tre anni dopo la morte di Jacobs, con gli albi L'affare Francis Blake e Lo Strano Appuntamento realizzati su testi di Jean Van Hamme. Tuttavia Benoit decise di lasciare la serie nel 2002, ritenendo che la realizzazione di quegli albi richiedesse davvero troppo tempo.

Per la lista dei suoi lavori, ti rimando alla pagina bibliografica a lui dedicata sul sito Bedetheque, mentre puoi leggere una bella intervista risalente al 2014 sul blog Zona BéDé. Nel mio piccolo, voglio invece ricordarlo con una breve ma rappresentativa galleria di immagini.














Auguri, Dàilan Dog

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Dylan Dog compie 30 anni. E diciamoci la verità, questo buffo e bizzarro omino di carta, un pensierino se lo merita eccome.


Ovunque sul web si celebra il personaggio sottolineando come Tiziano Sclavi, all'epoca, abbia incarnato alla perfezione la "sensibilità dei tempi" ecose del genere. Personalmente credo che, in parole povere, Sclavi sia stato semplicemente uno splendido cantore di dubbi, fobie e paure dell'uomo, uno dei migliori in assoluto che abbia avuto a che fare con il fumetto.
E che abbia scritto un horror/splatter intelligente e creativo in un'epoca in cui (sul finire degli anni '80, ma anche prima) il cinema horror, così come la letteratura di genere, fece presa in modo tanto radicale sui giovanotti della mia generazione.

Dalla metà degli anni '90 in poi, l'horror ha subito un declino inevitabile (oggici spaventano più il fato e il futuro incertoche una cinquina di artigli che scintillano al buio) e quando quei tempi sono finiti, in parte è finito anche Dylan Dog. Quando poi Sclavi si è lentamente e inesorabilmente allontanato dalla sua creatura, la situazione non ha fatto che peggiorare. E non sto certo dicendo che è colpa degli autori che ci hanno messo mano dopo. E' solo che Dylan DogE'Tiziano Sclavi.


Lo stesso Dylan, che è un personaggio nato per essere un giovanotto afflitto da dubbi e tormenti, con le proprie insicurezze che lo hanno sempre reso"vero" agli occhi del suo lettore (sempre ostinatamente pronto ad essere dal lato giusto facendosi scudo con certi principi morali), oggi apparirebbe antiquato, fuori dai tempi, moralista. In due parole, poco realistico. Proprio come un qualsiasi personaggio di carta, insomma.
La questione è che anche lui deve appunto "incarnare" la sensibilità dei nuovi tempi parlando di lavoro, malattia, suidicio e potere (non a caso le ultime e più riuscite storie della serie trattano proprio questi temi).Quindi oggirisulterebbe "antiquato" ritrovare tra le sue pagineMana Ceracema non vedere il protagonista calato in un'orrenda e alienante realtà lavorativa.

Sembra assurdo dirlo, ma ci sono stati dei tempi, in parte realmente spensierati, in cui anche il fumetto seriale doveva preoccuparsiquasi solo di sciocchezze. Mi viene in mente ad esempio quando Sclavi prese per il naso certi lettori mettendo finalmente in chiaro quale fosse la pronuncia corretta del nome Dylan (come se ce ne fosse stato davvero bisogno) e per farlo utilizzò Bree Daniels, la prostituta amica di Dylan che si ostinava a chiamarlo "Dàilan" (nell'indimenticabile Memorie dell'Invisibile, nel caso non lo ricordassi).
Ma sai cosa? All'epoca ricordo che quasi la metà delle persone sbagliavano davvero la pronuncia del nome. E così Dylan Dogè sempre stato un po'ancheDàilan Dog. Che il suo autore lo volesse o meno. Con le proprie misure, ognuno gli cuciva addosso lagiacca nera, la camicia rossae le clarks.

Un esempio. Ai tempi in cui frequentavo l'Istituto d'Arte, tutti leggevano la serie. In moltissimi avevano l'albo tra le mani il giorno stesso dell'uscita del nuovo "numero". E alle otto meno un quarto di mattina, in piazza del Plebiscito a Napoli, erano tutti lì a sfogliare distrattamente l'albo per capire cosa raccontasse quella storia.
Ma più gente era coinvolta nel circolino, più la cosa dava disagio. Come se si rompesse un'intimità intensa e passionale maturata nel tempo. Come se la cosa confermasseche quel personaggio non vivesse effettivamente più tra quelle pagine solo per pochi.Dylan Dog era diventato un fenomeno di massa.


Non ci ho messo poi molto a disincantarmi da quelle storie (pian piano si cresceva e c'erano anche altre letture, le ragazze, il futuro e la vita di strada), ma i ricordi che ho del personaggio sono molto profondi e sono legati in particolare a quegli episodi pubblicati proprio a cavallo tra la fine degli anni '80 e l'inizio dei '90 (tra inedito e prima ristampa), la maggior parte dei quali letti a tarda notte, a letto, d'inverno e con la lampada del comodino accesa.
Sottoquelle meravigliose, iconiche copertine di Villasi muovevano tutti quei neri d'inchiostro sempre inquietanti, indipendentemente dal fatto che a riempire quegli spazi fosse stato Casertano, Trigo, Stano, Roi, Montanari e Grassani, Dell'Uomo, Brindisi, Siniscalchi, Dall'Agnol, Freghieri, Ambrosini o Piccatto.

Il primo albo a spaventarmi davvero fu Jack lo Squartatore (#2) perché Trigo sapeva come rendere minaccioso ogni angolo delle sue tavole.La Bellezza del Demonio (#6) era geniale e spaventoso e ancora oggi credo sia una delle storie più belle della serie. Il Ritorno del Mostro(#8) faceva meravigliosamente leva sui sensi di colpa del lettore. Attraverso lo Specchio(#10) era quel grande classico che ricordi ancora oggi. Mentre la prima storia in due parti composta da Il Castello della Paura(#16) e La Dama in Nero(#17) era ricca di atmosfere tenebrose e crepuscolari (a dispetto degli eterni detrattori della coppia Montanari e Grassani). Memorie dell'Invisibile (#19) era un altro grande classico su cui tutto è già stato detto eDal Profondo(#20) faceva davvero paura, merito di un Corrado Roi che i lettori stavano cominciando a conoscere davvero bene.


Dopo Mezzanotte(#26) era unpiccolo gioiello, un altro dei miei preferiti (nonostante già all'epoca sapessi essere "ispirato" al bellissimo Tutto in una Notte di John Landis). Il Buio(#34) perché c'era Mana Cerace e perché i ritornelli di Chiaverotti all'epoca sembravano inquietanti ("Uno due, due e tre questa volta tocca a te; quattro cinque, cinque e sei, è la morte proprio lei"). Accadde Domani(#40) perché era triste e malinconico (anche questo palesemente "ispirato" alla pellicola del 1944Avvenne Domani di René Clair).
Poi Golconda(#41), Inferni(#46), Horror Paradise(#48)eIl Mistero del Tamigi(#49) (uno di quelli che più mi si fissò in testa: "London bridge is falling down, falling down, falling down...").


Se hai letto quelle storie, ti ricorderai anche di Ai Confini del Male(#50),storia fuori di brocca che mi piacque parecchio, il bellissimo Partita con la Morte(#66), il geniale Caccia alle Streghe(#69) o i commoventi Il Lungo Addio(#74) e Johnny Freak(#81).
Per non parlare di tre speciali che in particolare colpirono il mio immaginario: il bellissimo e assurdo Gli Orrori di Altroquando(SP #2), impreziosito a imperitura memoria dai disegni del Maestro Attilio Micheluzzi, Orrore Nero(SP #3), anche solo per quella meravigliosa copertina di Villa, tra le più belle che abbiano mai sfornato in Bonelli (per quanto io stimi non poco il lavoro di Stano, nella mia testa Dylan Dogè sempre stato quello)e l'agghiacciante e tenebroso Mefistofele(SP #4), con il quale anche mia madre cominciò a leggere la serie (la reale portata del fenomeno Dylan Dog la capii proprio quando mia madre alla fine della lettura di quello speciale prima mi chiese con aria schifata"ma a te davvero piace leggere questa roba?"per poi chiedermi, mese dopo mese, tutti gli episodi nuovi).


Detto questo concludo dicendo che sto seguendo con interesse la nuova gestione di Roberto Recchioni. Interesse nutrito in parte da alcuni alti davvero alti ma scemato, purtroppo, da alcuni bassi abbastanza bassi. Come in passato, credo che la cosa sia inevitabile (più o meno). 
Forse la serie avrà perso un po' del nerissimo humor british originario (già da un po', a dire il vero), ma in questi ultimi due annidi cose interessanti ce ne sono state diverse.

1. Le sperimentazioni grafiche (in primis sui Color Fest) che in passato non sarebbero mai state prese in considerazione (diciamo anzi che sarebbero state "cordialmente" accantonate). La cosa non fa che dare freschezza alla serie, portando il personaggio con i piedi nei nostri tempi.
2.John Ghost, una nuova interessante nemesi, credibile rappresentante dei mali di questi tempi (ma che personalmente avrei preferito vedere un po' più spesso).
3. Un pugno di storie davvero interessanti chele cose meno riuscite non hanno comunque intaccato (e un complimento in particolare, tra gli altri, va a Gigi Simeone, autore che seguo sempre con molto interesse, che in poco tempo è riuscito a ritagliarsi uno spazio davvero importante sulla serie).


In generale, parlo di albi come Anarchia nel Regno Unito (#339),  Al Servizio del Caos (#341), Nel Fumo della Battaglia (#343), ...E Cenere Tornerai (#346), Lacrime di Pietra (#350), Il Generale Inquisitore (#353) eLa macchina Umana (#356), fino ad arrivare a quello di questo mese, quel Mater Dolorosa che tanto sta facendo discutere e chepersonalmente ho interpretato come una ricca riflessione ma anche comeun'ulteriore fase di passaggio (sperando che la cosa possa portare però ad una fase un po' più concreta).
Quel che è sicuro è che non mi stancherò mai di celebrare la mostruosa opera di Gigi Cavenagosu questo albo. Un lavoro ricco e sperimentale, bello in modo diverso dagli altri, come non si era mai visto nel fumetto popolare italiano (sarebbero da incorniciare anche solo le cover che ha sfornato fino ad ora per i Maxi Dylan Dog Old Boy, tipo questa, questa e questa).

E con il prossimo, intitolato Dopo un Lungo Silenzio (titolo quanto mai azzeccato), si ha la segreta speranza che anche Tiziano Sclavi possa tornare più spesso tra le pagine della serie a cui ha dato i natali, in modo che un cerchio si chiuda. O che forse si riapra, visto che intanto l'autore ha annunciato di essere al lavoro su una miniserie di Dylan Dog interamente scritta da lui che procederà in parallelo a quella regolare.

Anche se in modo diverso, insomma, questo omino di carta avrebbe ancora qualcosa da raccontare. Mi rendo conto che possa risultare difficile tenere il passo con un'eredità lunga trent'anni (e un cammino fatto di tanti piccoli, grandi successi), ma la direzione attuale, per quanto ancora priva di una certa continuità che gli varrebbe una forte e auspicata identità, potrebbe effettivamente portare da qualche parte.

E tanti auguri aDàilan Dog.

Logan

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Son tutti bravi, con il culo di Johnny Cash. Chiunque girasse un film, fosse anche con il telefonino, e in sottofondo ci piazzasse il vecchio Johnny, ne farebbe venir fuori una roba che almeno il trailer te lo devi vedere.

Detto questo, Logan, il terzo film dedicato a Wolverine, l'ultimo al quale prenderà parte Hugh Jackman, sembra una cosa buona. In gran parte sembra ispirato alla run Old Man Logan di Mark Millar, ma (grazie a Dio) senza supereroi tra le scatole. Logan(gravemente malato dopo che il suo potere rigenerante è scomparso) e il vecchio Professor Xavier (privo di poteri e morente perché malato di alzheimer, in quella che sembra un'intensa prova del buon Patrick Stewart) dovranno portare in salvo quella che si presenta come una bambina indifesa ma che in realtà è LauraKinney (meglio nota come X-23) da una combriccola di militari tecnologicamente dotati (che sarebbero i Marauders di Claremontiana memoria).

Che altro dire? Alcune scene mi sembrano buone, ma non ho nessuna intenzione di credere che questo possa rivelarsi un buon film, visto che il regista è lo stesso James Mangold tanto accorto e dotato in passato (Cop Land, Identity) quanto smaccatamente traballante più di recente (Knight and Day, The Wolverine).Dovesse poi convincermi (e segretamente ci spero proprio un po'), sarei il primo a tirar giù il cappello. Giuro.

R.I.P. Steve Dillon

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Ieri è morto Steve Dillon. Il come non si sa e, onestamente, nemmeno importa. Ne ha improvvisamente dato notizia su twitter suo fratello Glyn (autore di fumetti a sua volta, noto perIl Nao di Brown), dicendo che è morto nella città che amava alla follia, New York.
Il cartoonist inglese, 54 anni, non era forse nella top ten dei miei preferiti, ma al suo stile semplice e "artigianale", soprattutto abbinato alla dissacrante scrittura di Garth Ennis, non ho mai preferito altro.
Gli devo di sicuro diverse ore di svago e divertimento. Su tutti, ovviamente, la serie di Preacher, ma anche le sue run su Hellblazer e Punisher e il Wolverine: Origins su testi di Daniel Way.

L'ultima cosa disegnata da lui che ho letto risale più o meno al mese scorso. Un episodio di Scarlet Witch pubblicato in appendice al numero 4 di Doctor Strange. Ed è subito stata nostalgia.

Grazie di tutto, Steve.

Justified, la sesta e ultima.

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Con questo frame nero qui sopra, dedicato ovviamente alla memoria del grande Elmore Leonard, si chiude la sesta ed ultima stagione di Justified.
Ti ho parlato della serie, stagione per stagione (1a, 2a, 3a, 4a e 5a), quindi sai quanto io l'abbia amata. Ci ho messo un po' a vederla tutta perché a differenza di altre, ho scelto di centellinare gli episodi mettendo sempre qualcos'altro tra un'annata e l'altra, timoroso che prima o poi sarebbe arrivato il momento di salutare davvero gli straordinari personaggi che hanno animato le strade di Harlan (e il mio salotto).

La sesta stagione è stata giustamente chiacchierata e pure tanto. Ai fan è piaciuta come e più delle altre e, strano a dirsi, alla critica anche di più. Ovviamente tutti i nodi vengono al pettine e per quanto, come al solito, di personaggine girino parecchi, tutta la vicenda ruota più che altro intorno al predestinato tête-à-tête finale tra i due veri grandi protagonisti della serie: il marshall Raylan Givens e l'incallito criminale Boyd Crowder, ex amici e colleghi ai tempi delle miniere di carbone in Kentucky.


Che tu sia un criminale intenzionato ad espandere il tuo impero o un cocciuto tutore dell'ordinecon il vizietto di interpretare la legge secondo la tua visione delle cose, da quelle parti la vita ti castiga come ovunque.
Inutile che stia qui a parlarti della trama. Se non hai visto le prime cinque stagioni, non capiresti. Se le hai viste, certo non vorresti anticipazioni di sorta. Quello che c'è da sapere è che l'ideatore e produttore esecutivo Graham Yostè riuscito a chiudere magnificamente tutti i punti rimasti in sospeso, riuscendo ad alzare ancora un po' di più il livello drammatico e rigirandosi tra le mani il destino e la natura stessa dei protagonisti.

Si è trattato insomma di un viaggio lungo il giusto, fascinoso e stimolante, con degli interpreti degni dei propri ruoli e con delle storie e degli intrecci che mai hanno ceduto alla strada facile. Dialoghi, situazioni, confronti e picchi di tensione sono sempre stati ricamati con gusto e parsimonia.


Questi indimenticati personaggi rimarranno per parecchio tempo nella mia testa. Un ringraziamento sincero va quindi agli attori che hanno dato loro un volto, a Graham Yost che ha architettato tutto per sei stagioni e a Leonard stesso (che l'11 ottobre scorso avrebbe compiuto 91 anni), senza il quale questa serie tv non sarebbe mai esistita.

Vi devo in tutto quasi una sessantina di ore di puro svago.
Che non è poco, di questi tempi.







The Scariest Movie and Animation of All Time (o meglio: di visioni edificanti per lo spirito, in questi giorni di macabro scherzùme)

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Un paio di anni fa mi sono divertito a stilare una macabra classifichina dei libri ideali da leggere durante Halloween. L'anno scorso questa cosa è saltata (avevo ben altri pensieri), ma ora eccoci di nuovo qui (anche se un pelino in ritardo, abbi pazienza). Non di libri si parla, però, bensì di cinema nell'accezione più ampia del termine. Cercherò di abbracciare infatti, fino a stritolarti, l'ampio parco filmico e di produzioni animate che secondo me meriterebbero una visione proprio in questi giorni. Il tutto diviso più o meno per fasce d'età. Che tu sia provvisto o sprovvisto di prole, insomma, qui in mezzo dovresto trovarci un po' tutto, a seconda dei gusti.

Per i bambini in età tenera (e per i loro genitori che, volenti o nolenti, devono sottoporsi ad una serie di visioni a tema):
Si comincia con le cosine più leggere (e in questo caso anche brevi) come Paperino e la Notte di Halloween, corto animato da otto minuti (lo troviQUI su Youtube) prodotto dalla banda Disney nel 1952.
Si passa poi per gli immortali Peanuts con È il Grande Cocomero, Charlie Brown, terzo speciale animato dedicato alle creature di Charles Schulz, mandato in onda per la prima volta nel 1966.
Da qui il salto è breve e passiamo al corto di 25 minuti Mostri contro Alieni - Zucche Mutanti Venute dallo Spazio(2009),speciale a tema della durata di 22 minuti (e che fino a prova contraria puoivedere QUI su dailymotion), al divertente Hotel Transylvania (2012) del genialeGenndy Tartakovsky (un film animato con tutti i mostri classici in scena? Cosa può desiderare di più un bambino?) finoal meraviglioso Il Libro della Vita (2014), di Jorge Guitierrez e prodotto da Guillermo del Toro, che festeggia con mille colori, e non solo, il giorno dei morti nella tradizione messicana.

Và che il character design de il Libro della Vitaè proprio caruccio.

Si passa poi alle visioni leggermente più goliardiche e "mature". Se parli di Halloween devi per forza di cose tirare in ballo Tim Burton. Non me ne volere, ma l'estetica gotico horror del regista americanoè pressoché perfetta per certi temi e va a braccetto con grandi e piccini. Quindi a parte il Nightmare Before Christmas (del 1993 di Henry Selick, che Burton ha solo prodotto e che provocatoriamente è ambientato per metà nel paese di halloween e per metà nella terra di babbo natale, e che quindi va furbescamente bene sia per l'una che per l'altra festività), nella lista va messo obbligatoriamente anche il meraviglioso La Sposa Cadavere (2005) per il quale rimasi estasiato quando mi accorsi che nel DVD c'era la possibilità di seguire il film senza le parole, accompagnato solo dalla colonna sonora).
Menzione d'onore per Harry Potter e la Pietra Filosofale (il primo film dell'eptalogia, insomma, del 2001) la cui visione viene consigliata ovunque a partire dai sette anni. Mio figlio però l'ha visto per la prima volta a quattro e mezzo e non ha fatto una piega nemmeno quando il professor Quirinus Raptor ha mostrato come condivideva la testa con quella di Lord Voldemort.

Poster tutti in tinta blu/(ultra)violetto che fa pure bene alla pelle.

Per i bambini un po' più ragazzetti:
Via il dente, via il dolore. Tim Burton ha messo a segno un paio di buonissimi colpi anche per i "ragazzini". Con il primo si va alle radici della sua filmografia, il divertente Beetlejuice, Spiritello Porcello (1988), mentre con il secondo facciamo un saltino di una decade con Il Mistero di Sleepy Hollow (1999) ispirato proprio al classico letterario di Washington Irving (consigliato a sua volta tra le letture a tema di un paio di anni fa).
Coraline e la Porta Magica (2009) è un altro film animato in passo uno firmato da Henry Selick e ispirato al romanzo per ragazzi scritto da Neil Gaiman e illustrato da Dave McKean (piazzato qui perché probabilmente un pelo più tetro della media).
Mentre se vogliamo dare in pasto a queste giovani menti qualche film classico e meritevole di una visione, non possiamo non tornare ai favolosi (ma senza esagerare) anni '80 e '90 consigliando loro il primo Gremlins del 1984 (che lo so, è un film natalizio, ma veste benissimo anche per questo periodo) di Joe Dante e Chris Columbus,oLa Famiglia Addams di Barry Sonnenfeld del 1991 (che andrebbe benissimo anche qualche episodio della serie tv in bianco e nero del 1964, per quanto oggi faccia ridere molto meno di ieri).

Poster della serie: "film con titoli scritti in font gotico-guascona".

Una menzione d'onore, in quanto non rientrano particolarmente in halloween nonostante le tematiche affini ci siano tutte, vanno ad un paio di intramontabili pellicole di genere come ilFrankenstein Junior (1974) di Mel Brooks (che va bene in ogni periodo dell'anno) e al primoGhostbusters (1984) di Ivan Reitman. E di mezzo ci metto pure Frankenweenie, ulteriore film di animazione (del 2012) sempre firmato da Tim Burton e ispirato ad un suo vecchio cortometraggio del 1984.

Poster della serie: "protagonisti con occhi e bocche aperti a palla".

Infine, per i ragazzetti un bel po' cresciutelli (ma proprio tanto, tipo a partire dalla maturità e fino a sfiorare la terza età, esclusi appunto bambini e ragazzetti in tenera età):
Per quanto mi riguarda, i nomi sono quelli soliti ma anche no. Non si può non citare Halloween - La Notte delle Streghe (1978) di John Carpenter in quanto perfettamente a tema o il Lasciami Entrare del 2008 del regista svedese Tomas Alfredson in quanto tra i pochi film diligenti e fascinosi sulla figura degli immortali vampiri. Gli invasatiè invece un film del 1963 diretto da Robert Wise, immancabile tassello dedicato alle magioni possedute.

Poster della serie che letti di fila: "Halloween, lasciami entrare gli invasati".

Il Gabinetto del Dottor Caligari, film muto del 1920 diretto da Robert Wiene, dona invece una "prospettiva" diversa sul thriller gotico, mentre il classico dei classici in bianco e nero del 1922 Nosferatu, di Friedrich Wilhelm Murnau, è invece praticamente immancabile in ogni buona classifica di genere che si rispetti. Due filmoni vecchio stile.

Quasi uguali. Uno al balcone, l'altro che insegna bob ad una donna per le prossime olimpiadi.

Se prediligi le trame guascone e un horror in stile anni '80, c'è Creepshow, filma episodi del 1982 diretto da George Romero e scritto da Monsignor Stephen King. E se, infine, sei invece tra quelli da atmosfere inquietanti e voglioso di oscuri protagonisti, non dimenticare uno dei più grandi classici degli anni '90, Il Corvodi Alex Proyas(1994) ambientato proprio durante il giorno dei morti o la meravigliosa e ormai già classica pellicola d'esordio (2001) del regista Richard Kelly,Donnie Darko, film che lentamente ha sancito un nuovo standard di genere.


Insomma. Ce n'è per tutti i gusti.
E quindi buona visione (anche se in ritardo). 

Di strani Dottori, giganti biondi e acchiappatopi, viaggiatori del tempo, agenti segreti, lunghi silenzi e professori all'esordio.

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Doctor Strange #2-5
di J. Aaron, C. Bachalo e AAVV | Panini Comics
17x26, 48 pp. a colori | euro 2,90/3,30


E' l'unica serie che sto continuando a seguire dopo l'ennesimo rilancio in casa Marvel (che ormai vanno a botta di uno o due l'anno e non ci si capisce davvero più nulla). Le buone impressioni del primo numero sono state confermate anche nelle successive uscite. Jason Aaron sembra avere le idee molto chiare su dove portare il personaggio e con la minisaga Gli Ultimi giorni della Magia (che parte ufficialmente sul numero 5) crea la minaccia dell'Empirikull, entità (una o diverse non ci è ancora dato saperlo) che minaccia il sottobosco arcano dell'universo narrativo della Casa delle Idee, arrivando a mietere vittime tra i vari "dottori" del pianeta.
Il tutto infarcito di sottotrame che seguono ad esempio le conseguenze che Stephen Strange deve pagare per essere uno stregone supremo o l'indagine fuori campo della bibliotecaria Zelma Stanton. O ancorail segreto non ancora svelato che sembra portarsi sulle spalleWong, il fedele servitore di Strange.
Chris Bachalo sembra divertirsi parecchio cercando di omaggiare come può le deliranti visioni che furono di Steve Ditkoma di suo, come già detto in occasione del primo episodio, ci mette davvero parecchio.


In appendice trovi poi la serie dedicata a Scarlet Witch (senza infamia e senza lode, ma che si fa leggerevolentieri) che vede la protagonista in giro per il mondo a cercare di far luce sul perché la magia si stia "ammalando".
Buone in ogni caso le idee e i testi di James Robinson. Notevole l'episodio acquerellato del cartoonist brasiliano Marco Rudy (sul numero 3), curioso rivedere all'opera Steve Dillon (sul 4), sapendo che è l'ultimo suo lavoro pubblicato prima di passare a miglior vita (pace all'anima sua).
Cavalcando l'onda del film adesso nelle sale, la Panini ha messo a segno quella che credo sia la serie più interessante da seguire per almeno un po' di tempo (anche se, come al solito, forse valeva la pena di aspettare per seguire la ristampa in volume che mi risulta già in programmazione).Innegabile, infatti, come questo periodo sia il più ricco di sempre per il buon Dottore(sia in Italia sia su suolo natio) al quale, a partire dal 27 ottobre, la Gazzettaha dedicato anche una nuova collana composta da ben 25 volumi.

Doctor Strange Serie Oro #1
di G. Pak, E. Rios | Gazzetta
17x26, 96 pp. a colori | euro 1,99

Preso e letto solo perché costa un paio di euro appena. Ovviamente non continuerò la serie (anche se non mi dispiacerebbe) perché 1, il prezzo di nove euro ad albo di questi tempi resta molto proibitivo (per una periodicità settimanale, almeno) e 2, il materiale in programma non è tutto meritevole di attenzione.
Come nel caso di questo primo volume dove ci vengono rinarrate per l'ennesima volta (una delle poche che non avevo ancora letto) le origini del buon Doctor Strange (Dr. Strange - Season One, in originale) per i testi di Greg Pak e i disegni della talentuosa (e paulpopiana) Emma Rios, prima che il suo segno divenisse celebre e maturo sul Pretty Deadly della Image.
Il punto di vista di Pak sull'argomento non è tra i più originali e gioca per lo più sul rapporto con Wong, all'inizio più guerriero che stregone, con il quale Strange sembra doversi "completare"per il suo addestramento,durante il quale dovrà subito fare i conti con le macchinazioni di Mordo.
I disegni della Rios appaiono qui un po' incerti sulle anatomie e nelle tavole più affollate regna un po' di confusione.


Non che si tratti di una brutta storia, ma non aggiunge davvero nulla di più a quanto già sappiamo. E sarebbe forse stato il caso di cominciare con qualcosa di un po' più ruffiano. Il secondo in programma, per dire, è molto più meritevole (The Flight of Bones, una miniserie di quattro scritta daDan Jolley e disegnata daPaul Chadwick e Tony Harris).

Fafhrd ant the Gray Mouser #1
di H. Chaykin, M. Mignola | Cosmo Editoriale
16x21, 96 pp. a colori | euro 4,90

Quanta nostalgia. Mi sembrava strano che queste storie diHoward Chaykin e Mike Mignolanon fossero mai state ristampate dai tempi della Play Press. Ci ha pensato la Cosmo che in due albi pubblica tutta la miniserie che la Epic Comics diede alle stampe nel 1991 (e promettendo inoltre di distribuire presto in edicola, se non ho capito male, anche la serie a fumetti originale targata DC Comics scritta da Denny O'Neill). 
Questo adattamento a fumetti, di sicuro il più riuscito, si ispira alla bella saga sword &sorcery omonima firmata da Fritz Lieber composta da svariati racconti (raccolti in originale in quattro antologie) e ambientata nella città di Lankhmar, nel regno di Nehwon.
Chaykin rimane molto fedele alle trame principali orchestrate da Lieber, ma la cosa più bella è senza dubbio la spettacolare resa di un Mignola al suo apice, tra quello degli inizi, meno libero dalle proprie ispirazioni, e quello dell'ultimo ventennio, asciutto e minimale (l'evoluzione della sintesi grafica di Mignola andrebbe studiata in ogni buona scuola del fumetto). C'è da dire però che è anche merito degli inchiostri del leggendario Al Williamson.


Questo primo volume raccoglie le prime due storie intitolate"Brutto incontro a Lankmar" e "La torre che ululava", dove si narrano le vicende del sanguigno gigante Fafhrd e delGrey Mouserdal loro primo incontro, dove avrà inizio la loro intensa amicizia, fino alla decisione che li porterà ad abbandonare Lankhmar per girare il mondo alla ricerca di uno scopo. Ma come dice anche il vecchio rinchiuso in una gabbia sospesa fuori dalle mura della città, a Lankhmar si è destinati sempre a ritornare.

Sherlock Holmes e i Viaggiatori del Tempo
di S. Cordurié, Laci | Cosmo Editoriale
16x21, 96 pp. B/N | euro 3,50

Dopo i vampiri, il necronomicon e gli zombie tocca ai salti nel tempo e relativi paradossi temporali. Al comando torna la premiata ditta composta dallo sceneggiatore Sylvain Cordurié e dal disegnatore Laci, per una storia che, te lo dico subito, devi seguire con tanta tanta attenzione.
Nel 1895 Sherlock si è ritirato e ha aperto una piccola libreria nel cuore di Londra. Tuttavia a molte persone è rimasto il vizietto di chiedere le sue prestazioni da detective, compresa la stessa Regina Vittoria che gli chiede di impedire che uno scienziato scomparso venti anni prima possa mettere a punto un attentato contro la corona. E così, tra macchine del tempo che calzano comodamente ai polsi e bizzarri personaggi (tra cui anche la Mandragora, letale assassina protagonista di una storia precedente della collana), mister Holmes si troverà di nuovo costretto ad uscire dalla quotidianità londinese per entrare nelle tematiche fantastiche tanto care allo sceneggiatore francese.
Storia senza troppe pretese ma che richiede, contrariamente agli intenti, più attenzione del dovuto per via dell'intricata trama sulla quale ogni tanto Cordurié gioca troppo. Belle e ricche il giusto, come al solito, le tavole di Laci. Mi E mi riferisco ovviamente alla versione originale a colori e nel formato più ampio, mentre nel bianco e nero di questa edizione della Cosmo, purtroppo tutto diventa abbastanza piatto come al solito.


Un piccolo appunto va fatto alla Cosmo che ha lanciato coraggiosamente in edicola la serie Weird Tales al prezzo di tre euro, ma che nel giro di poco più di un anno è aumentata di ben 90 centesimi. Per una realtà editoriale modesta (ma agguerrita) come la Cosmoè ancora un prezzo parecchio concorrenziale ed è giusto che si adegui di conseguenza al mercato. Ma scalare centesimi come fossero caramelle, forse non è sintomo di salute. Spero di sbagliarmi.

Bruno Brazil #1
di Greg, W. Vance | Gazzetta
19x27, 96 pp. a colori | euro 3,99

Mi sono immerso nella lettura di questa seriepubblicata sulla Collana Avventura della Gazzetta (subito dopo Luc Orient) ignorando bellamente di cosa sitrattasse. A parte averne sentito parlare come l'ennesimo classico della bédé, non avevo infatti mai letto una sola pagina di Bruno Brazil.
Sapevo che i temi trattati erano quelli dello spionaggio e dell'azione e che avrei trovato Greg ai testi e William Vance ai disegni. In questo primo albo, in particolare, sono raccolte le prime due storie in ordine cronologico, serializzate per la prima volta sulla rivista Tintin tra il 1969 e il 1970. Ne "Lo squalo che morì due volte", Brazil viene incaricato di recuperare un vecchio gerarca nazista che è a conoscenza dell'ubicazione di un immenso tesoro del Terzo Reich scomparso insieme ad un sommergibile tedesco più di venti anni prima. Mentre nella seconda, intitolata "Commando Caimano", il protagonista viene messo a capo di un commando militare, composto da mezzi pendagli da forca, che dovrà fare luce su una misteriosa comunità scientifica che si nasconde nella jungla e che ha il potere di interferire con le telecomunicazioni a livello planetario.
Bruno Brazilè un agente dei servizi segreti che ricalca perfettamente i classici standard del genere fissati già allora, come sottolinea lo stesso Fabio Licari nell'introdizione all'albo, da cinema e serie tv (James Bond eMission Impossiblesu tutti). Le storie di Greg sono come al solito perfettamente godibili da chi non ha troppe pretese e prediligono una trama non troppo complicata per fare spazio all'azione.


Le tavole di Vanceappaiono gmature e il suo tratto appare graziato e pulito nonostantela mole di lavori che alla fine degli anni '60 fu costretto a portare avanti in contemporanea (oltre a Bruno Brazil, Vance lavorava alle serie di Howard Flynn, Bob Morane e Ringo).
In generale Bruno Brazilè una lettura spassionata e senza troppe pretese. Le ingenuità dell'epoca e un ritmo particolarmente lento, almeno in questi inizi, non giocano a suo favore, rendendo la serie tutto fuorché irrinunciabile.
Onestamente, sentendone sempre parlare come di un "classico", mi aspettavo storie di un altro tenore (insomma, quando si parla di classici del fumetto franco belga, vengono in mente ben altri nomi).
Potrei sbagliarmi, però. Dalle prossime storie, ad esempio, la serie potrebbe decollare e trasformarsi in qualcosa di irrinunciabile. Chissà.

Dylan Dog #362 - Dopo un Lungo Silenzio
di T. Sclavi, G. Casertano | Sergio Bonelli Editore
16x21, 96 pp. B/N | euro 3,20

Eccola qui la tanto attesa storia che segna il ritorno di Tiziano Sclavi ai testi della sua creatura. Dopo il bel numero a colori che apre i festeggiamenti per il trentennale di Dylan Dog (e aver scoperto con sommo gaudio che Gigi Cavenagoè il nuovo cover artist ufficiale della serie), Dopo un Lungo Silenzio vede ripiombare Dylan sotto la minaccia dell'alcool.
E' una bella storia, poco da dire. I buoni propositi ci sono tutti e un paio di punti di riflessione sono davvero interessanti. Il primo riguarda proprio la velocità con la quale si può tornare in tentazione dopo anni e anni di astinenza (è forse il caso dello stesso Sclavi con la scrittura?), mentre il secondo esplora l'idea (in passato già trattata dall'autore più volte) di quanto il silenzio possa essere molto più terribile di uno spettro che ritorna (e anche qui vedo delle similitudini con Sclavi e la sua professione).
L'unica nota stonata sta nel fatto che Dylan Dog, dopo anni (che dico anni, decenni, che dico decenni, trentenni) di esperienza alle spalle tra mostri e visioni di tutti i tipi, debba rivolgersi ad un professore esperto per chiedere se i fantasmi possano davvero esistere.


Per il suo ritorno ufficiale, Sclavi si avvale della collaborazione di Giampiero Casertano, un pilastro del tavolo da disegno che in passato ha firmato alcune delle sue più belle sceneggiature.
Complimenti poi per la cover bianca. E per il "silenzio" che si respira tra redazionali e frontespizio.Per il resto, bentornato Sclavi. 

The Professor #1 - Golem
di C. Martigli, P. D'Antonio | Erredì
14x20, 96 pp. B/N | euro 3,50

Avevo già letto sul web di The Professor (titolo abbastanza terribilino, posso permettermi?) come di un thriller/horror d'ambientazione vittoriana. E chi sono io per non dare una possibilità alle sconosciute Erredì Grafiche Editoriali e a questo nuovo bimestrale?
Benjamin Love, il protagonista della serie creata da Andrea Corbetta (grafico e illustratore genovese che si occupa di disegnare anche le cover), è ispirato fisicamente alle fattezze dell'attore Peter Cushing ed è appunto un "professore" di scienze esoteriche presso l’Univesity College di Londra.Love si ritroverà sempre impelagato in storie a metà strada tra il mistery e l'horror e il suo stesso autore ha preso come pietra di paragone la serie TV Penny Dreadful, dicendo che sarà una via di mezzo tra Sherlock Holmes, Abraham Van Helsing e il Dottor Who (?!?).
Il primo numero, intitolato Golem, è scritto da Carlo Martigli e disegnato da Paolo D'Antonio e parte dall'infanzia di Love (nel 1845, se non erro) per arrivare al suo presente (35 anni dopo). Dopo aver assistito alla macabra morte dei suoi genitori e aver perso una mano cercando di recuperare un ricordo, Love dovrà fare luce sull'inquietante presenza di un Golem nelle strade di Londra che scoprirà essere collegato con la morte dei suoi cari.


Una buona parte della storia si fonda, in modo sapiente, sull'esoterismo ebraico e fonde figure classiche delle antiche religionimesopotamiche a quelle delle credenze popolari e dell'immaginario horror. E il pastiche letterario sembra anche funzionare.Alcune considerazioni molto personali, però, mi portano invece a dire che la storia, per quanto godibile, non brilla particolarmente.
I cliché del genere ci sono tutti e la vicenda stenta a decollare. Spesso è come se l'autore dei testi non avesse padronanza della sceneggiatura a fumetti (non a caso Martigliè un romanziere) e ad andarci di mezzo sono alcune sequenze confuse che qui e lì spaccano la lettura. Così come sfuggenti sono anche i perché principali della storia. Non dico che non siano spiegati, ma se è stato fatto, a me è sfuggito (come recita un celebre detto popolare, modificato per l'occasione,: "chiarezza, mezza bellezza").
In generale siamo ancora all'ideadi un personaggio a fumetti che deve possedere un personale improperio, un topos nato decenni fa per permettere ai ragazzetti di impersonare i propri eroi di carta, mentre oggi sarebbe proprio il caso di capire che non è più tempo (vizietto ancora largamente diffuso e certo non mi riferisco solo a The Professor, la quale imprecazione, per inciso,è "per le mura di Gerico").


Le pennellate spesse e corpose diD'Antoniorendono il suo trattoforse un po'rozzo (enon è per forza una connotazione negativa), ma è da apprezzare la sua visione d'insieme. Graficamente non siamo poi troppo lontani dallo standard classico "bonelliano" (odio dire questa cosa, ma è il solo modo per farti capire la questione senza scrivere venti righe in più) eD'Antonio ha tutte le carte in regola per diventare un buon professionista, tanto più che non stiamo certo parlando di un novellino (Paolo ha già realizzato il volume Galileo Galilei per Kleiner Flug, Paganini per le Edizioni BD, un numero di John Doe per l'Aurea e varie serie a fumetti per la Read Challenger, la Villain Comics e la Titanium).
Insomma. The Professor mi ha tanto ricordato le "belle" produzioni artigianali degli anni '90 con quella grande voglia di scalzare i grandi del mercato e la convinzione che fare fumetti sia ancora uno dei mestieri più belli del mondo. In questo caso, forse,conuna possibilità in più di sfangarla davvero nel tempo. Un'occasione in più, quindi, voglio proprio dargliela. In ogni caso l'impegno c'è e si vede. In bocca al lupo.
Se ti interessa, comunque, QUI trovi da scaricare il PDF del numero zero con una storia di 16 pagine. 

Ryan Thomas Monahan

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Ryan Thomas Monahanlavora nei sobborghi di Chicago. Ha lavorato come grafico per circa 6 anni, prima di scoprire una naturale predisposizione per la ricostruzione in miniatura di scenari realistici. Una vera e proprio forma d'arte, questa, che pretende una cura maniacale per i particolari che rasenta lo stillicidio e, di conseguenza, molta più perizia e pazienza di quanta chiunque metterebbe nei propri lavori.
Non resta che ammirare le sue cose o visitare il suo sito ufficiale.




















Trump l'oeil

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«Chi è armato fermi Hillary Clinton.»

«Fintanto che avete con voi una giovane e splendida gnocca,
non ha importanza quello che scriveranno i media.»

«Le donne vanno trattate di merda.»

«Lady D mi inviò la più bella e calorosa lettera mai ricevuta,
dopo che le feci un favore, e io le inviai dei fiori.
Penso che sì, avrei potuto possederla.»

«Arianna Huffington è una cagna poco attraente
sia dentro che fuori, capisco perché l'ex marito
abbia deciso di lasciarla per un uomo.»

«Gli immigrati messicani sono criminali,
trafficanti di droga e stupratori.»

«Sui prodotti cinesi, ascoltatemi teste di cazzo,
vi tasseremo al 25%!»

«Io ve lo dico, sarò il più grande presidente per la creazione
di posti di lavoro che Dio abbia mai creato.»

«Dobbiamo trovare il  modo di chiudere internet
per aggirare il terrorismo.»

«Dicono che ho gli elettori più fedeli. Potrei stare fermo
in mezzo alla Fifth Avenue e sparare a qualcuno
e non perderei alcun elettore.»

«Se vedete qualcuno pronto a lanciarmi un pomodoro, colpitelo.
Lo fareste? Seriamente. Okay? Colpitelo... Ve lo prometto,
pagherò per voi le spese legali.»

«Assolutamente approverò il waterboarding, va benissimo,
ma dovremmo fare qualcosa di molto più forte.
Amici, credetemi, la tortura funziona.»

​«Prometto meno tasse per tutti.»

«Creerò 25 milioni di posti di lavoro.» 

«Non morite prima di avermi votato. Non mi importa quanto
sei malato. Non mi importa se sei appena tornato dal medico
e lui ti ha dato la peggiore diagnosi possibile, che è finita.
Non importa. Reggete fino all’8 novembre. Uscite e votate.
Vi vogliamo bene, ci ricorderemo sempre di quello che avete fatto.»

«La pigrizia è un tratto dei neri. I neri che contano i miei soldi...
non lo sopporto! Gli unici che possono contare i miei soldi sono
gli uomini piccoli e bassi che indossano ogni giorno la kippah.»

«Mettendo uomini e donne nello stesso posto
che cosa potrebbe accadere se non aggressioni e violenze?»

«I Rolling Stones sono un gruppo di poveri cretini
e Paul McCartney è un povero bastardo.»

«Se dittatori come Saddam Hussein e Muhammar Gheddafi
fossero ancora al potere il mondo sarebbe migliore.»

«Non è curioso che la tragedia a Parigi abbia avuto luogo in uno dei Paesi
con il più rigido controllo sul possesso di armi al mondo?»

«Se sarò eletto presidente non farò pressioni sulla Turchia
o su altri alleati autoritari che conducono purghe
sui loro avversari politici o riducono le libertà civili.
Io do grande credito a Erdogan per essere in grado di cambiare
le cose. Lo ammiro per come ha reagito al colpo di Stato.»

«Guardate queste mani, vi sembrano piccole?
Se fossero piccole lo sarebbe anche qualcos’altro...»

«Non è stato facile per me. Ho cominciato a Brooklyn.
Mio padre mi ha fatto un piccolo prestito di un milione di dollari.»

«La mia bellezza è che sono davvero ricco.»

«In realtà penso di essere umile. Penso di essere
più umile di quanto voi siate in grado di capire.»

«Sono un profondo pensatore.»



Detto questo, alla metà degli americani faccio un grosso in bocca al lupo per tutto. Nei prossimi anni avranno bisogno di molta fortuna. All'altra metà non auguro nulla. Sarebbe come sparare sulla croce rossa. Come potrei? Si sono scelti da soli il proprio castigo.
Purtroppo, però, credo che i problemi veri che causerà questo personaggio, usciranno dai confini USA per approdare nel resto del pianeta.
L'unica speranza, a questo punto, è che esista davvero un potere oscuro e più forte che trama all'ombra delle cariche pubbliche che riesca a tarpargli le ali e a renderlo docile. Così come forse è già stato fatto, in passato, con chi invece voleva davvero costruire qualcosa.
Augurarsi il peggio, per non vedere la fine. Interessante.

Nathan Never Anno Zero

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Lo hanno già detto in tanti, ma vale la pena ribadirlo. Quello che trovi all'interno della miniserie di sei numeri Anno Zero, è il Nathan Never che potrebbe piacere a tutti i vecchi aficionados.
Quello orchestrato da Bepi Vignaè un Agente Speciale Alfa scritto e dedicato ai nuovi lettori, si, ma soprattutto a quelli che"eh (sospirone), ma il Nathan Never dei primi venti numeri...".
Una revisione certosina da un punto di vista quantomeno interessante. Una riscrittura molto particolare che in casa Bonelli, a memoria, non era mai stata fatta. Non credo di farti un torto (o di fare spoilerùme vario) se ti dico che il Nathan che troverai tra queste pagine, insomma, è quello che potrebbe essere esistito per davvero, mentre quelle che hai imparato a conoscere negli ultimi 25 anni sono le gesta che ci sono state riportate da terzi.


La storia comincia ai tempi in cui Nathan Never era un semplice sergente della poizia metropolitana e finisce nel momento in cui Solomon Darver prende il posto di Edward Reiser alle redini dell'Agenzia Alfa. Ma il nocciolo degli eventi sta tutto nel mezzo, ovvero nella famigerata ricostruzione dello straziante omicidio di Laura, la moglie di Nathan, e della "perdita" della figlia Ann, raccontatata per la prima volta alla fine del 1992 negli indimenticabili albi 18 e 19 ("L'Abisso delle Memorie" e "L'Undicesimo Comandamento"), episodi scritti magistralmente da Michele Medda e disegnati divinamente da un inarrivabile Nicola Mari.

Ciclo di storie che la Bonelli ha ristampato per l'occasione
proprio in questi giorni in un elegantissimo volume da libreria.

Rispetto a quello che i vecchi lettori sanno, che cosa è davvero accaduto quella notte? Qual era il ruolo del Professor Hicks? Come si è formata davvero l'Agenzia Alfa e con quali scopi? Cosa si nasconde nelle sue fondamenta? Chi è Edward Reiser? Qual è stato il ruolo della procuratrice Sara McBain? Chi era il pluriomicida Ned Mace? Cosa ha distrutto la mente di Ann? E Nathan Neverè davvero colpevole di quanto successo la notte in cui ha perso la sua famiglia? Riuscirà a recuperare i pezzi dei suoi disgraziati ricordi? ("NATHAN NEVER LO SA! Da giugno Nathan Never in edicola!").

Insomma, nel caso tu te le sia mai fatte, avrai una risposta a tutte queste domande. Vigna mette sul piatto parecchia carne al fuoco e soprattutto strizza l'occhio di continuo a quel vecchio, vetusto lettore che vuole sentirsi al centro dell'attenzione. Chicche, quisquilie, per carità, ma tutto fa brodo L'Ispettore Ishimori, l'androide Mac e il suo negozio di anticaglie, la Dottoressa Leyla Duchateau, Legs in carcere per l'omicidio dell'ex marito, le origini di Sigmund, le vicine di casa e il loro disastroso Klontz (si, ho anche quell'albo, da qualche parte). Manca solo l'imponente figura di Aristotele Skotos, ma mi rendo conto che da solo avrebbe riempito pagine e pagine.


Ma al netto degli intenti, questo Anno Zero mi è piaciuto si o no?La risposta è yessa, ma con accorta moderazione.
Forse sei albi sono troppi. In questo modo la vicenda respira il giusto, ma al centro ne prende sin troppa, di aria. E per quanto sia scritto benissimo (sapevamo già che Vignaè tipo attento a non cadere nelle facilonerie), è privo di pathos dove meritava e i colpi di scena, che ci sarebbero anche, vengono annacquati da una scrittura forse troppo lenta e meticolosa (molto forte, però, quello finale su Laura).
Roberto De Angelis non l'ho ancora citato. Lo faccio adesso per dire che un uomo che si carica sul groppone sei numeri alla volta, è un uomo coraggioso. Che le sue tavole sono belle. Forse un pelo meno del suo standard altissimo, ma immagino che abbia dovuto anche correre. E non poco. Il suo Nathan Neverè ILNathan Never per eccellenza. Tranne sullecopertine. Quelle non mi sono piaciute (e nemmeno i colori). Non tutte, almeno. Pace.

Unico appunto: tra l'ultimoNathan Never di Antonio Serra (#301-303) che forse appartiena ad una realtà alternativa e quello di Vigna, quello "reale"letto in questa miniserie, mi chiedo però se a questo punto non si sia generato un pelo di confusione nel lettore e se sia opportuno dare seguito a queste storie (anche semi è sembrato di capire che Vigna ha lasciato aperto uno spiraglio per un eventuale seguito di Anno Zero).


Personalmente quello che mi mancava era proprio il Nathan Never più urbano, quello più "bladerunneriano". Con i livelli di Città Est spesso protagonisti o gli elementi fantastici che non sfociavano mai (o quasi mai) in altri generi, rimanendo nei canoni classici di scienza e fantascienza.
E anche se di fantascienza vera e propria in Anno Zero ce n'è poca (siamo più nel campo del thriller e del giallo investigativo) e che non si tratta di una storia per cui strapparsi i vestiti (ma chi l'ha detto poi che una storia deve portare sempre a cambiare guardaroba?) devo ammettere che mi piacerebbe continuare a leggere storie di questo stampo.

Bob Morane

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E' cosa ormai nota e arcinota ma vale la pena segnalarlo. Sulla "Collana Avventura" della Gazzetta dello Sport, dopo Blake e Mortimer, Bernard Prince, Luc Orient e Bruno Brazil, dalla prossima settimana prenderà posto uno dei classici bédé che ancora oggi gode insospettabilmente, ma per lo più in Patria, di un successo strepitoso, a ben 58 anni dal suo esordio): il Bob Morane di Henri Vernes (pseudonimo di Charles-Henri Dewisme) sulle cui pagine si sono alternati alcuni dei grandi Maestri d'oltralpe come Dino Attanasio, Gérald FortoneWilliam Vance.

La Gazzetta, in collaborazione con l'editore Nona Arte, ha deciso però di non pubblicare integralmente tutte le storie di Bob Morane (che in tutto contano circa un'ottantina di uscite) ma solo le storie più belle, decretate anni fa dalla rivista francese l'Equipe. Si parla insomma di 32 storie in totale, per un totale di 16 albi della Gazzetta.


Nel primo volume, qui sopra la cover, verrà pubblicataLa Valle dei Crotali su testi di Vernese i disegni di Gérald Forton. Ulteriori ragguagli su tutta la cronologia delle storie immagino arriverà a breve.

Un mezzo sospiro di sollievo va tirato, perché per quanto io abbia letto solo tre o quattro storie lunghe della serie in questione (nella poco invogliante edizione in bianco e nero dell'Aurea di tre anni fa durata appena cinque uscite), le ho trovate senza dubbio migliori delle ultime due ospitate sulla collana (Luc Orient e Bruno Brazil). Anche se non ci metterei proprio la mano sul fuoco, vista anche il genere indefinito della serie che va, con malcelata nonchalance,dai viaggi del tempo all'horror, dalla spy-story al thriller, dall'avventura al giallo investigativo.

Speriamo.




Il Grande Sonno

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Da questo autore e da questo libro in particolare, nascono, nel caso tu non lo sapessi, l'hard boiled, il noir metropolitano e in parte anche il thriller (quello letterario, intendo, perché quello cinematografico arriva qualche anno prima, con Hitchcock e Fritz Lang). 
Per quanto io non sia proprio a digiuno di Raymond Chandler, non avevo mai letto uno dei romanzi dedicati al suo personaggio più noto, il granitico e fascinoso detective privatoPhilip Marlowe che proprio qui, tra le pagine de Il Grande Sonno, comincia la sua carriera letteria.

Il Grande Sonno (The Big Sleep, 1939)è una novella potente dal linguaggio secco e nervoso le cui situazioni e i cui personaggi possono sembrare oggi, giustamente, tagliati in due dalla classica accetta. Ma al di là di questo, il romanzo è seminale proprio perchéè qui che nascono i generi di cui sopra e soprattutto uno stile di scrittura dinamico e duro, nato quando fino a quel momento tutti i lettori erano abituati al giallo smaccatamente buonista con protagonisti senza troppi vizi e ai finali dove tutto si chiariva intorno ad un tavolo, sempre utilizzando un linguaggio perbenista e al passo con i tempi, quasi mai sboccato o fuori dalle righe (a parte rare eccezioni, ovviamente).

Chandler invece scriveva, proprio come in questo romanzo, cose tipo:
“Dosava le forze con la cura di una ballerina disoccupata alle prese con l'ultimo paio di calze senza smagliature.”
E' normale che certe cose risultassero ardite, all'epoca, capisci? E bada bene, non sto dicendo che lo fossero davvero. Quella frase, oggi, non ha più nulla di volgare. Ma come già detto, in quegli annii protagonisti del giallo letterario classico erano per lo più abituati a riflettere sui più efferati omicidi davanti a té e pasticcini con un sopracciglio alzato, immersi in un quotidiano che doveva raccontare anche cose buone.

Illustrazione di Jason Mervyn Hibbs per l'edizione della Penguin.

Chandler, come tutti gli innovatori, arriva quindi al momento giusto distruggendo l'idea di "campagna inglese"o di indagine garbata, dipingendo un mondo sporco, battuto dalla pioggia e frequentato dalle peggiori canaglie senza scrupoli, dove è facile che tu senta il puzzo di marciume nei quartieri fatiscenti della cittào che ti ritrovi una pistola puntata alla stomaco solo perché sei sul lato sbagliato della strada. Ecco in buona sostanza cosa ha fattoChandler e perché è rimasto negli annali.

La storia de Il Grande Sonno nemmeno te la racconto (se ti interessa, la trovi qui su wikipedia), perché importa poco o nulla. Se dobbiamo stare a parlare della trama, posso dirti che a tratti risulta troppo complessa e disordinata o che addirittura, per quanto sia breve il romanzo, sembra portata troppo per le lunghe. Ma come dicevo, il punto non è quello. E poi, diavolo, davvero dobbiamo parlare dei difetti della trama del romanzo dove è nato Philip Marlow? Anche no.


Una menzione speciale va anche al bel film di Howard Hawks che ne fu tratto qualche anno dopo, nel 1946, interpretato da Humphrey Bogart e Lauren Bacall che per quanto abbia il merito di aver portato su schermo, in un meraviglioso bianco e nero, un film quasi perfetto (per l'epoca), a tratti ha estremizzato quel senso di ingenuità che oggi non può che strappare una risata (memorabili, in tal senso, i sospiri amorosi della giovane libraia che si vede arrivare un Marlowe fradicio di pioggiae che cerca di sedurre senza perdere troppo tempo).

Un'altra epoca.

HAPPYish

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Happyishè una serie tv in dieci episodi. Ogno episodio dura circa 25 minuti. Luca l'ha recensita a settembre scorso, ritenendola giustamente degna di una visione. Io ho felicemente accolto la sua segnalazione e dopo aver visto tutta la stagione, credo proprio di dovergli dare ragione.

Cinica, sboccata, a tratti blasfema,HAPPYishè una piccola epopea umana che narra le vicende di Thom Payne (magnificamente interpretato dall'attore inglese Steve Coogan). Uomodi mezza età depresso e disincantato come ne è pieno il mondo,Thom lavora in un'agenzia di pubblicità (la MGT) in cui deve confrontarsi con nuovi boss molto più giovani di lui che trovano nei social tutte le risposte al proprio lavoro. 


Thom, come tutti, insegue la felicità senza sapere che aspetto abbia davvero e cerca di proteggere a tutti i costi quello che ha.Tra le mura domestiche, divide la vita con la sanguigna moglie Lee (interpretata dalla brava Kathryn Hahn), artista ebrea compulsiva che lotta con rabbia sanguigna sulle proprie responsabilità di donna e di mamma, e con il figlio Julius, cinquenne molto dolce nonostante la sua apparente anaffettività. 


Le cose più belle della serie sono le interazioni dei personaggi con le proprie fantasie (memorabile l'episodio dove Lee parla con lo scatolone di Amazon che le ha spedito la madre), la voglia di rivalsa di Thom sulle cazzate che sparano i "giovani creativi", ma soprattutto è la capacità di intervallare dei meravigliosi tempi comici con improvvisi momenti di riflessione molto più profondi di quanto tu ti possa aspettare da una serie del genere. Riflessioni che appartengono ad ogni comune mortale: l'amore, la famiglia, il lavoro, la realizzazione, la società, la vita e la morte.

E se come me hai una famiglia (ah, la famiglia), dovrai mandare giù tanta amarezza quando sentirai dire"non devi buttarti in quel buco per me, se non vuoi". Ma ti sentirai poi orgoglioso quando anche Thom, in quel buco, ci si getterà senza pensarci due volte. E con il sorriso sulle labbra.


HAPPYishè la cosa più "vera" e intelligente che mi sia capitato di vedere negli ultimi anni. Non ti dico di più. Sono sicuro che tu possa riuscire a vedere, se lo vuoi, tutti gli episodi messi in fila in un paio di serate (il tutto dura poco più di quattro ore).
Purtroppo la triste novella è cheShowtime, il canale che ha prodotto la serie, visti gli ascolti non all'altezza delle sue grosse produzioni, non ha ritenuto opportuno rinnovare HAPPYish per una seconda stagione.
Sconcerto e rammarico su di me, catastrofe su Showtime.

P.S.: E mi mancano già, questi personaggi. Nel solo Thom mi ci sono rivisto più volte, una vera e propria simbiosi come nel caso della storia del lassativo su twitter,della creazione della "stanza delle idee", ma soprattutto della sua richiesta di asilo agli alieni. Quante risate.










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