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Perfetto, Jeeves!

E finalmente, grazie alla bella edizione della defunta (sigh!) Polillo Editore, sono riuscito a leggere per la prima volta uno dei classici di Pelham G. Wodehouse, scrittore umoristico inglese tra i più "autorevoli" del ’900. Ancora oggi popolare e citatissimo,Wodehouseè noto per aver saputo raccontare con disincantata meraviglia agi, vizi e piccole virtù dell'alta borghesia inglese, mettendo alla berlina società e costumi dell'epoca (ma ti stupiresti di quanto ancora oggi possa risultare al passo con i tempi).
Perfetto, Jeeves!è il primo romanzo, stampato originariamente nel 1922, che presenta al lettore il caleidoscopico gruppo di personaggi assurdi e pittoreschi legati proprio alla serie di romanzi dedicati al maggiordomo Jeeves. C'è Bertie Wooster, narratore della storia in prima persona, proprietario di casa Wooster al quale servizio troviamo proprio Jeeves, acuto "problem solver" (come direbbero oggi). C'è zia Dahlia, che è meglio non far arrabbiare, suo marito Tom Travers e sua figlia Angela. Ci sono Tuppy Glossop e Gussie Fink-Nottle, amici di Bertie, c'è la svagata e sentimentale Madeline Bassett e il superbo chef francese Anatole.


Nel libro si narra di un delizioso (e increscioso) intreccio sentimentaleche vede l'impacciatissimo Gussie (appassionato di tritoni e amante del succo d'arancia) innamorato della Bassett mentre Tuppy litiga con la sua fidanzata Angela. Tuppy arriverà a credere che Angela abbia un altro e la Bassett che Bertie voglia provarci con lei. Il tutto mentre il migliore chef del Regno Unito, Anatole, minaccia di lasciare quella casa, gettando nella disperazione zia Dahlia e nello sconforto tutti i suoi ospiti.Un gran pasticcio, insomma.
E come al solito, alla fine toccherà proprio all'impeccabile e onniscenteJeevesricucire i cuori strappati eparare le spalle al giovane signore, Bertie, che cercando di porre rimedio alle varie situazioni non fa altro che cacciarsi in guai sempre più grossi di lui.

Inutile star a raccontare di più. Quello che posso dire è che Wodehouse mi ha fatto ridere e non poco. E se ci pensi, sembra assurdo che l'ironia per la quale Wodehouseè tanto celebre possa risultare così tanto attuale. Ma non è solo una questione di humor. Lo scrittore inglese è stato capace di costruire vere e propri standard nella letteratura di genere, tanto da essere "citato"in mille altri media, dai libri ai fumetti, dai film alle serie tv.
Nel corso degli anni, Jeevesè stato infatti protagonista di due pellicole cinematografiche, di una situation comedy, di un musical e diversi sceneggiati radiofonici. Per non contare le volte che i suoi personaggi sono stati citati dai suoi colleghi di penna o presi di peso e riportati su carta (come nel caso del "nostro"Alfredo Castelli, appassionato delle opere diWodehouse, all'interno degli speciali annuali di Martin Mystére).


Insomma, ovunque occorra raccontare con gaudio e leggerezza la nobiltà inglese,ancora oggi bisogna fare i conti con chi ha saputo tratteggiarla con tanta divertita parsimoniaquasi un secolo fa. Un punto di riferimento.

I cartoni visti con mio figlio: Justice League Unlimited, Teen Titans Go! e SuperAmici

E così, di riffa o di raffa (ma casualmente), per il piacere di mio figlio che sta sempre lì a chiedermi di Batman e Robin, entrano in casa mia anche i cartoni DC Comics/Warner Bros Animation dedicati al gruppo di supereroi più potente del mondo dei comics (o così si dice) e anche a quell'altro, quello dedicato ai più piccoli che fa ridere pure me. Te ne parlo perché la faccenda è carina e in più di un'occasione la DC ha dimostrato di saperli fare bene, i cartoni, a differenza della Marvel (che due o tre li ha imbroccati pure lei, eh).

Justice League: Warè un film d'animazione messo a punto e distribuito nel 2014. Fa parte dei DC Universe Animated Original Movies e in praticaè l'adattamento della serie a fumetti Justice League: Origin. Quella che nel 2011 ha rivisto per l'ennesima volta le origini dei vari personaggi (si dai, quella di Geoff Johns e Jim Lee che ogni albo si leggeva in trenta secondi netti, se qualcuno ti prendeva pure a ceffoni dietro la testa per distrarti).In un'oretta e spiccioli si ripercorrono gli avvenimenti della serie descritta sopra.
I vari eroi non si conoscono ancora tra loro e tutto parte da un "cavernoso"Batman che scopre una serie di ordigni alieni distribuiti alla rinfusa a Gotham, poi arriva un Lanterna Verde spiritosone, un Superman turbolento e molto più tenebroso di come lo ricordi tu, una Wonder Woman un po' maschiaccia e tanto grezza che ficca mazzate a destra e sinistra e poi quel solito buontempone diFlash. Di sottofondo, una storia a base di ladruncoli giovincelli e campioni di football affetti da carenza di attenzioni paterne che porterà nel gruppo sopracitato anche Cyborg e Shazam.


E poi cominciano calci e pugni che la metà basta, perché sulla terra arriva Darkseid. E la JL dovrà fare di tutto per collaborare e riuscire a rispedire il cattivone blu dall'altra parte dell'universo attraverso un varco dimensionale (eee, lo so, quante volte l'hai sentita 'sta storia?).
Design e animazione sono tanto giappo, ma ci sta. Carino, dai, pensavo peggio. Teo si aspettava di vedere Robin da qualche parte, e invece nisba.

Di tutt'altra pasta è fatto invece Justice League Unlimited, serie televisiva a cartoni prodotta nel 2004 e composta da due stagioni per un totale di 39 episodi da 20 minuti ciascuno. E' il seguito ideale della precedente serie (del 2001 e nominata semplicemente Justice League) e gli autori sono sempre quelli (e meno male): Bruce Timm e Paul Dini, quelli che quando eri un ragazzetto già cresciutello agli inizi degli anni '90, ti avevano preso a schiaffoni con la serie animata di Batman, dimostrandoti che un cartone diverso e godibile era possibile anche per i più grandicelli.
JL Unlimitedè fatta bene, non c'è che dire. I temi sono maturi il giusto per piacere a grandi non proprio grandi e anche ai piùpiccini. C'è un buon equilibrio azione/introspezione e negli episodi si alternano i vari personaggi con la naturale presenza più costante del trittico Batman, Superman, Wonder Woman. Per il resto, già solo nei primi cinque episodi ci trovi Flash, Lanterna Verde (non Hal Jordan, maJohn Stewart delleGreen Lantern Corps), Freccia Verde, Black Canary, Martian Manhunter, Super Girl, Hawk & Dove, The Question, Captain Atom, Zatanna, Etrigan, Booster Gold, Atom, Red Tornado, Plastic Man, Doctor Fatee B'wana Beast. In arrivo, poi, anche tutti gli altri.


Esemplare la semplicità con cui, in alcuni episodi e con una certa nonchalance, si strizza l'occhio a temi anche un pelino più profondi, come in quello intitolato For the Man Who Has Everything ispirato all'annual omonimo di Superman scritto da Alan Moore e disegnato da Dave Gibbonso come in Il Risveglio, dove Hawkgirldovrà decidere se dare o meno la grazia eterna al gigante zombie Solomon Grundy, suo amico quando era in vita.
Tutto il merito delle storie va naturalmente a chi le ha scritte insieme a Dini e Timm, gente di una certa esperienza che non ti aspetteresti tipo Dwayne McDuffie, Warren Ellis, Darwyn Cooke, Gail Simone e J.M. DeMatteis (che addirittura ne ha scritta una in collaborazione con il Maestro Jim Steranko).Una bella serie molto curata, insomma. Ma mio figlio, anche qui, aspetta ancora che da qualche parte spunti Robin.

Ti chiederai perché mio figlio aspetta sempre che appaia Robin da qualche parte. Perché è il suo personaggio preferito in Teen Titans Go!, serie animata del 2013 trasmessa suBoing.
La serieè trattata in chiave parodistica edè permeata da toni comico-demenziali che fanno ridere come uno scemo di guerra anche me.
Tra i personaggi, quindi, Robin, ma anche Cyborg, Stella Rubia (Starfire), Corvina (Raven) e B.B. (Beast Boy). Tutti ispirati alle figure classiche (a parte Wonder Girl e Kid Flash), divenute celebri dopo la serie a fumetti a loro dedicata negli anni '80 da Marv Wolfman e George Perez (quanti ricordi).Le storie sono invece improntate al tipico non-sense di certa produzione targata Cartoon Network, tra lo scanzonato e l'irriverente o la semplice stupidera (guarda la ballata degli waffles, ad esempio, dove Teo viene sistematicamente preso da crisi di ridarola).


Dietro al design super deformed, inoltre, c'è quel gran talentaccio di Dan Hippdel quale ti ho già parlato e sulla quale versatilità ho espresso più di una volta tutta la mia ammirazione.

Per non parlare poi dei SuperAmici che gli sto facendo vedere a spizzichi e bocconi da Youtube (tubo santo subito!). Si, sto parlando proprio dei Super Friends, la serie animata firmata da Hanna-Barbera negli anni '70 e che ha tenuto compagnia a noi bravi ragazzi per buona parte di quel periodo.


Insomma, oh, dopo l'uscita dal tunnel (diverso tempo fa, a dire il vero) con roba tipoPeppa Pig, Masha e l'Orso e via discorrendo, questeson piccole soddisfazioni, via.

"Steampunk Star Wars" by Bjorn Hurri

Bjorn Hurriè un concept artist noto per la sua versatilità. Nato in Svezia, Bjornsi trasferisce a Londra e comincia a lavorare con clienti qualiNCsoft, CatalystGame Labs e SEGA. La sua dedizione per le icone pop e sci-fi è innegabile, come noterai anche tu guardando i suoi lavori sul sito ufficialewww.bjornhurri.com

In pieno periodo di fermento per l'atteso nuovo capitoro di Star Wars, ti mostrun particolare, interessante lavoro di Bjorn,Steampunk Star Wars, dove l'illustratore svedese si è divertito appunto a rivedere i personaggi dell'universo di Lucas in chiave steampunk. Buona visione.













Tutta la magia dei Soprano. La serie dalla prima alla sesta stagione e tutto l'incauto amore che si può provare per uno show televisivo.


Una ferita aperta e un vuoto incolmabile. Ecco cos'ha lasciato, alla fine, l'aver rivisto per intero le sei stagioni de I Soprano, una dopo l'altra.

Prenditela comoda perché cercherò qui di spiegarti, al meglio delle mie possibilità, perché questa serie è una delle migliori di sempre e perché David Chase (nella foto qui accanto) è stato un gigante, incesellando perfettamente al millimetro ogni pezzo a propria disposizione.
Chase, a parte i Soprano, al mondo del cinema e della tv ha dato poco, è vero, ma con questa serie ha rivisto e corretto il modo di concepire e realizzare uno spettacolo televisivo, la creazione dei personaggi principali e secondari e l'interazione con i tempi e la scrittura.
Prima di tutto è stato furbo, quasi mefistofelico, nel mettere insieme i vari pezzi. Dove oggi si cerca di sciorinare a destra e manca un nome di richiamo, lui ha piazzato semplicemente le persone giuste al posto e al momento giusto. A parte Gandolfini e pochissimi altri, infatti, nessun attore aveva un'esperienza significativa alle spalle. Però c'era da rispondere ad un rigido requisito:dovevano essere tutti italo americani.

Prova a leggere il colonnino degli interpreti su Wikipedia: Gandolfini, Bracco, Falco, Imperioli, Chianese, Sirico, Ventimiglia, Curatola, Pastore, De Matteo, Castelluccio, Pantoliano, Schirripa e tanti tanti altri ancora. Farebbe ridere, se non fosse una cosa seriamente pianificata, no?


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Lo stesso Chase aveva voluto che fosse così e che la maggior parte di loro arrivasse da esperienze di genere, anche se piccole piccole (e leggenda vuole che per la parte del braccio destro di Tony, Chaseavesse scelto Steve Van Zandt, storico chitarrista di Bruce Springsteen, solo per la sua faccia, dopo averla vista sulla copertina del disco qui a destra).
Il fatto che la serie dei Soprano fosse stata concepita inizialmente come una sorta di ideale sequel di Quei Bravi Ragazzi di Scorsese era importante. E Chase da lì aveva preso a prestito gente che aveva fatto comparse importanti (la Bracco e Imperioli su tutti)o comparsate dimenticabili. E a tutti loro aveva imposto come riferimento non solo il film di Scorsese, ma anche la trilogia de Il Padrino di Coppola e il tritticochiave delgenere gangster movie: Nemico Pubblico di William Wellman(1931), Il Piccolo Cesare di Mervyn LeRoy (1931) e lo Scarface di Howard Hawks (1932), pellicole seminali che non a caso lo stesso Tony guarda più volte davanti al suo schermo gigante, comodamente spaparanzato sul divano, mentre finisce la sua scodella di gelato.


MaChase non di solo cinema e fantasia ha provveduto ad addestrare i suoi uomini. Come infatti si legge su Wikipedia:
"Chase ha architettato un mondo di finzione basandosi però su realtà esistenti, quali la mafia del New Jersey e le "Cinque Famiglie" di New York. Si è basato su personaggi reali e ne ha preso spunto per la creazione di una serie di legami di finzione estremamente complessi e mai lasciati al caso."
La forza principale della serie sta nei personaggi, incredibilmente vivi e reali. Memorabili proprio perché rancorosi, avidi, vendicativi, irascibilima sempre coerenti con se stessi. E ce ne sono decine e decine, tutti caratterizzati a meraviglia:Tony Soprano, sua moglie Carmela e i figli MeadoweAnthony Junior, la dottoressa Jennifer Melfi, il sanguigno "nipote"Christopher Moltisanti e la sua tamarrissima compagnaAdriana La Cerva, il petulante zio Junior, la sorella di Tony, Janice, il braccio destro Silvio Dante, l'irascibile Paulie Gualtieri, il boss Johnny "Sack", il napoletanissimo Furio Giunta, lo chef del Nuovo VesuvioArtie Bucco e poi ancora "Pussy" Bonpensiero, Ralph Cifaretto, Bobby Baccalieri, Vito Spatafore, il cugino Tony Blundetto (interpretato da Steve Buscemi).

Ma tanto lo fa soprattutto unascrittura lucida e certosina. Mai una sbavatura, solo un meticoloso orologio svizzero che funziona a meraviglia. Non c'è mai (dico MAI) un dialogo fuori posto e mai rimane una questione irrisolta o sospesa. Ci sono episodi più belli di altri, naturalmente. Ma mai (e di nuovo dico MAI) c'è un episodio brutto, mal riuscito o troppo noioso. In ognuno di loro, in circa 45/50 minuti di durata, accadono mille cose. Tanto che a volte viene da chiedersi come faccia Chase ad evitare ritmi sincopati da tv odierna per dare al tutto un'atmosfera placida e rilassata.
Ma in definitiva, alcuni di questi episodi sono autentiche gemme. Le migliori cose che la tv abbia mai partorito. Lo dico senza paura e senza la possibilità di essere smentito (voglio dire, solo l'apertura della seconda stagione, è autentico cinema). Per tacere dei colpi di scena architettati a meraviglia, alcuni dei quali studiati talmente nel dettaglio da lasciarti con i capelli dritti a rimuginarci sopra per giorni.

Particolare non da poco, poi, è che la serie mette alla berlina tutti e sette i peccati capitali. Proprio tutti, nessuno escluso: una pericolosasuperbia, la naturale avarizia di alcuni e l'incontrollata lussuria di altri, l'invidia come istinto naturale, la gola e l'accidia dove tutti all'unisono sembrano peccare e l'ira vendicativa.

A pensarci bene, poi, c'è una speranza che ti segue fin dalle prime stagioni ed è forse uno dei motivi principali per il quale questo show ha avuto tanto successo. Ti aggrappi, quasi, alla possibilità che in mezzo a tanto"male", Tony Soprano possa rappresentare uno spartiacque. Una personacombattuta tra i suoi interessi e gli scrupoli che nascono dal desiderio di una vita serena. E probabilmente all'inizio è così (concettualmente chi guarda è invitato in questa direzione anche grazie agli attacchi di panico di Tony, dalle sue numerose sedute dalla psicanalista e dal tormentato rapporto con la madre, inguaribile disfattista).
Ma come puoi ottenere una vita serena se sei il boss del New Jersey? Semplicemente non puoi, punto. Affermare il contrario sarebbe stato come raccontare una favoletta.

Ma con il passare degli episodi, quella speranza si rompe in ogni caso.Nella sesta stagione (doppia, da 21 episodi) Chase tira le fila di tutta la vicenda e ti ricorda, in barba a chi lo aveva tanto criticato per idealizzare una vita criminosa, che sempre di delinquenti stiamo parlando. Tony compreso, che sbaglia e pure tanto. Passa su cose, persone e cadaveri. Non c'è nessun buonismo, se lo cerchi.


A mio modo di vedere, nel reiterato tentativo di mostrare che il male è il male,Chase sbaglia mira solo su un fronte, forse. Quando Bobby Baccalieri [NO spoiler] da semplice balia dello zio Junior, cresce via via mostrando un lato umano (quasi troppo, rispetto agli altri), prima soffrendo per una grave perdita, poi mostrando allo spettatore il suo lato infantile con la passione per i trenini, poi riuscendo a tenere testa al boss, in un modo che non ti aspetteresti e infine mostrando tutto lo struggimento possibile per il suo primo, vero omicidio. Alla fine è solo su Bobby Baccalieriche scommetteresti su un possibile cambiamento.

E la chiudo qui dicendoti che tutta la bellezza dei Soprano sta quindi anche nel fatto che non si parla di sola criminalità e attività criminale, ma soprattutto di quotidianità, di legami familiari, del rapporto con i figli, di vizi, problemi, passione, amore, infedeltà, amicizia, gioie, lavoro, studio, stress, vecchiaia, tradimenti, malattia,dubbi, razzismo, omosessualità, sofferenze e tanta, tanta, tanta psicanalisi. Che a volte, per un attimo, si sfiorano parentesi da family comedy in pure stile anni '80 (come languidamente suggerirebbe la foto qui a fianco). Di una vita, insomma, che per quanto distante da quella di un ipotetico boss del New Jersey, potrebbe essere esattamente come la tua. Ecco dov'è la magia.


Ed è esattamente di una parentesi di pura vita quotidiana che vivela mirabile e tanto discussa sequenza finale che è passata alla storia. Sequenza che danza placidamente sulle note di Don't Stop Believin' dei Journey (che da oggi ricorderò per sempre come "quella del finale dei Soprano")per chiudersiimprovvisa su quel frame nero che per me ha rappresentato la fine di una bellissima avventura, ma che allo stesso tempo ha portato con sé l'acuta sensazione che sotto gli occhi non mi possa mai più passare qualcosa da seguire con così tanta dedizione e trasporto.


Questo post, in fin dei conti, è una vera e propria dichiarazione d'amore. Ringrazio David Chase, quindi, per tutte le ore che è riuscito a tenermi incollato alla poltrona e con tantissima devozione dedico questo modesto scritto alla memoria di quelgrandioso interprete che fuJamesGandolfini.

#Riletture: Cosmic Odyssey

Capita a volte che al ritmo del gioca jouer ti piazzi davanti alla tua libreria, ficchi la mano a caso in uno scaffale ricolmo di fumetti in multistrato e ne tiri fuori qualche volume polveroso pronto per essere risfogliato. E' un giochino che accetti di fare quando ti vuoi lasciar prendere dalla nostalgia canaglia (giochino comunque deleterio perché rischi di perder tempo a rileggere delle robe, quando ne avresti decine e decine di altre da leggere ex-novo).
Qualche giorno faè venuta fuori la saga DCCosmic Odyssey. Quella in volume unico della Play Press (che originariamente la stampò in tre albi più snelli) che, a dispetto delle tante critiche all'editore romano sui materiali di stampa, questo sembra miracolosamente rimasto (quasi) intonso, con le pagine ancora lì incollate (anche se le vistosissime 2a e 3a di copertina in cartone grezzo stanno lì a ricordarti certe cose).

Siamo intorno al 1988. Ai testi Jim Starlin, decano e cantore assoluto della space opera a fumetti, che dagli anni '70 in poi, e soprattuto in casa Marvel, mise a segno, tra testi e disegni, un tot di classici indimenticabili (ricorderai almeno La Morte di Capitan Marvel, Il Guanto dell'Infinito o le sue run su Adam Warlock o Silver Surfer). Starlin non si risparmia nemmeno qui e imbastisce una trama solida, ricamata il giusto e dagli sviluppi interessanti.


All'ennesimo tentativo delle bestiali orde diDarkseid di conquistare il pianeta terra, lo spietato despota di Apokolips viene a conoscenza del fatto che quella dell'Equazione Anti-Vitaè molto più di un'antica leggenda, tanto da mettere a repentaglio il suo stesso potere. Per questo motivo decide di allearsi con Nuova Genesi, il pianeta da sempre rivale. Insieme ai Nuovi Dei,il Grande Padre,Orion e il Foraggiere su tutti, decide che la minaccia cosmica rappresentata dall'equazioneè di tale scala da dover interessare anche gli strenui difensori terrestri della Justice League. Sono quindi chiamati a rapporto sei eroi: Superman, Batman, J'onn J'onzz,Lanterna Verde (John Stewart) e Starfire. Il sesto elemento è il misterioso vecchietto chiamato Jason Blood che i lettori di vecchia data sanno rappresentare le spoglie mortali del demone Etrigan.


Lo sparuto gruppetto di eroi si dovrà dividere in coppie per cercare l'equazione, frantumatasi in quattro "aspetti" nel tentativo di uscire dal proprio limbo. Le quattro parti sono state dislocate a caso su altrettanti pianeti: la Terra, Rann (sul quale ritroveremo anche Adam Strange), Thanagar e Xanshi.

Arricchiscono ulteriormente il piatto i disegni di un giovane Mike Mignola non minimalista come quello attuale (che tutti preferiamo, mi rendo conto), ma già ampiamente padrone dei propri mezzi e debitore dell'opera di Kirby più di quanto non lo sia oggi. Le masse prorompenti e i neri pesti ci sono tutti, insomma, ma ogni tanto gli sfuggiva qualche riga di tratteggio appena abbozzata. Forse aggiunte nelle chine diCarlos Garzon, ma forse anche no. I colori, invece, piatterelli ma ben piazzati, sono di Steve Oliff.


Per i fan di Mignola, comunque, questo è bel volume da possedere. Così come per gli amanti di certa sci-fi cosmica. A chi vuole recuperlarlo, non so esattamente cosa consigliare. A parte la versione originale della Play, credo che sia stato ristampato qualche anno fa solo dalla Planeta in questo volume della collana DC Sagas.

Saporito.

Di Tex migliori dell'anno, supereroi e risate, ristampe a richiesta, cavalieri oscuri a caso e noccioline troppo costose.

Tex #658/660
diM. Boselli, A.Font| SBE
16x21 cm | 114 pp b/n | 3,20 euro


Questo trittico distribuito in tutte le italiche edicole tra agosto e ottobre, presenta una delle migliori storie dell'anno (se non dell'ultimo biennio) dedicate aTex e compagni. La storia di Mauro Boselli riprende gli stessi personaggi che lui stesso creò qualche tempo fa: l'incallito giocatore Mike Foster, la bella cantante Dallas e suo fratelloKid Rodelo, ex fuorilegge che ha dovuto rinunciare alle sue malefatte dopo un incidente che gli ha tolto l'uso delle gambe e portato via il braccio destro. I tre adesso, graziati dai quattro pardsin quella primastoria, hanno aperto un saloon a Winnipeg, in Canada, attentamente sorvegliatidalla giubba rossaJim Brandon, amico di Tex.
Dentro ci trovi: inspiegabili delitti al buio, le manovre del direttore della compagnia delle pellicce di Selkirk, l'imbonitore girovago mister Marvel, wiskey e sonniferi, misteriosi suonatori d'organo, lanciatrici di coltelli, cinesi agli ordini del "Grande Drago" e tanta altra roba che Boselli gestisce benissimo e che il Maestro Alfonso Font, inutile dirlo, illustra, tratteggia e "chiaroscura" a meraviglia.


Il finalino di coda, come spesso accade, è forse tirato via veloce nelle ultimissime tavole e avrebbe meritato un respiro più ampio, anche per via di un'amara conclusione. Ma ciò non toglie i meriti all'intera vicenda, che rimane un'autentica chicca in tre parti.

Ant-Man #2
diN. Spencer, R. Rosanas| Panini Comics
17x26 cm | 48 pp colori | 3 euro

Scott Langè Ant-Man, ma questo lo sai già. Ora che ha cominciato una nuova vita a Miami, deve mettere su un nuovo business per tirare a campare. E chi meglio di un ex ladro per entrare nel ramo della sicurezza? Dopo il divertente esordio, Nick Spencer si ripete riproponendo in salsa comedy le sconclusionate vicende dell'uomo formica e dei suoi avversari, tipo Taskmaster (in un siparietto comico niente male costruito per svilire ulteriormente l'ego di Scott) o lo spione mercenario Crossfire. In questo numero, partito in soccorso dell'amata figlia, Ant-Manmette a punto una squadraccia mal assortita con Grizzly e Machinesmith(si, all'autore piace ripescare nel torbido tirando fuori personaggi secondari quasi dimenticati) per irrompere nell'azienda che fu di un suo storico antagonista.


Il punto di forza di queste storie di Ant-Manè di sicuro l'ironia stemperata da momenti tragici (anche se dovrebbe funzionare meglio al contrario). In ogni caso Spencer sa essere parecchio divertente (ho riso come uno scemo quando Grizzly irrompe malamente spaccando pareti al cospetto di soldati armati e urlando a squarciagola "chi ha spento l'aria condizionata?"). Ramon Rosanasmette giù delle ottime tavole plastiche e dinamiche. Una lettura piacevole.

I Passeggeri del Vento #1
diFrancois Bourgeon| Mondadori Comics
21x28 cm | 144 pp colori | 12,99 euro

Come spesso accade negli ultimi tempi, hai giusto il tempo di riflettere su quanto un'opera a fumetti sarebbe meritoria di ristampa (come accaduto in questo post di qualche tempo da), che corri il rischio di vederti passare sotto il naso l'annuncio da parte di qualche volenteroso editore.
E così è accaduto anche per I Passeggeri del Vento, la serie capolavoro di Francois Bourgeon. Il primo volumeèarrivato in edicola un mesetto fa circa grazie alla collana ombrello Historica della Mondadori Comics. Qui puoi leggere i primi due albi della serie (composta da cinque episodi originali più i due del prequel La Ragazza Bois-Caimane che presumibilmente la Mondadori stamperà in tre volumi complessivi).
"Isa è una fanciulla aristocratica che viene privata dell’identità e del titolo nobiliare. In viaggio a bordo di un grande veliero della Marina Reale francese, incontrerà quello che diventerà il suo compagno di avventure, il nostromo bretone Hoel. Un grande affresco storico di ambientazione marina, in cui la ricerca storiografica, geografica e iconografica, supporta le trame del racconto divenendone ingrediente essenziale."

Ti ho già parlato della genuinità e della cura storiografica di livello maniacale espressa in questa serie. E' una letturameritevolissima, essenziale e irrinunciabile, addirittura, nel caso tiinteressinoquesto particolare periodo storico e le storie ambientate sul mare. Un classicone. Ti segnalo anchequesto esaustivo post sul blog Mondadori Comics.

Il Cavaliere Oscuro #33-34
diAA.VV.| RW Lion
16,8x25,6 cm | 96 pp colori | 4,95 euro

Preso un po' così, senza un motivo apparente, dentro questi due albi de Il Cavaliere Oscuro ci ho trovato otto episodi della collana Batman Eternal (dal 33 al 40) e uno di Batman and Robin (il 38). Nei primi ho letto una storia già avviata da tempo, una lunga run di Scott Snyder dove uno spietato e misterioso antagonista è deciso ad utilizzare gli arsenali bellici dell'uomo pipistrello contro Gotham City. Batman preferisce eliminare tutti i suoi punti strategici nascosti per la città, piuttosto che lasciarli in cattive mani. Ad aiutarlo ci pensaPenny-two, agente segreto inglese nonché figlia del sempiterno maggiordomo di casa Wayne, e a metterlo nelle rogne, invece,Tommy Elliot, meglio noto come Hush.
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Al tavolo da disegno ci trovi Jason Fabok e, curiosamente, anche qualche italiano di talento che nemmeno sapevo all'opera per la DC: Andrea Mutti (Hammer, Nathan Never, Rebels) e la coppia Davide Furnò e Paolo Armitano(Saguaro).
Anche su Batman e Robin atterriamo a metà di una storia già avviata con il "pettirosso" (Damian Wayne, il figlio di Bruce e Thalia Al Ghul) appena tornato dall'ennesima"dipartita", ma questa volta con il potere di volare e respingere i proiettili (una specie di Superboy, vai a capire!). Di sicuro sono da salvare i disegni di Patrick Gleason.
Sono degli albi di passaggio, questi, in attesa che inRWrimettano mano alla programmazione della testata, in vista del prossimo mega super evento che togliti di torno (tipo "Convergence" o una roba del genere). E io li ho presi solo perché ero curioso di capire ora come si muovessero le storie di Batman, dopo averne perse le tracce nei numeri iniziali. Meritano? Non lo so. Di sicuro rispetto alle ultime tendenze da spillatino a 48 pagine, qui, tra una serie e l'altra, ci si fa una grande abbuffata dello stesso personaggio.


Peanuts - Gli Anni d'Oro #1
diCharles Schulz| Panini Comics & TuttoSport
21x16,5 cm | 116 pp b/n | 1,99 euro

Poco da dire, a parte un'osservazione. Quella dei Peanuts e una striscia classica, intramontabile, senza età. Quindi la si legge sempre volentieri. Qui alla chetichella si cerca di farti leggere il meglio della produzione del buon Charles Schulz, in dodici volumi totali a partire dagli anni '71-'72. Il film animato è al cinema e quindi ci sta. E' il prezzo che proprio non va. Se da una parte 7 euro a volume (tranne il primo a 1,99) per 96 pagine di strisce in bianco e nero ci possono anche stare nell'economia del prodotto medio da fumetteria, dall'altra, paragonato ai collaterali che attualmente puoi trovare in allegato a qualsiasi altro giornale, siamo proprio lontani anni e anni luce da un'offerta economica adeguata. Diciamo insomma che è stato bello prendere e leggere il primo volume, ma per il resto si può tranquillamente guardare altrove. La collezione non integrale e la grafica che ti riporta indietro nel tempo a quei "fulgidi" anni '90, rendono il prodotto appetibile solo per i lettori occasionali. Peccato. Perché le strisce, in edicola, mancano da parecchio.

Adenoids & Tonsil, final cut

Più o meno undici mesi fa, ti dicevo di come ero dovuto correre in ospedale a farmi tagliuzzare la gola per liberarmi dalle tonsille, dopo tre anni di sfiancanti e dolorosi alti e bassi.

In questi giorni, a distanza di quasi un anno, è toccato a Teo.

Teo non ha mai (MAI) respirato normalmente per via delle sue adenoidi, evidentemente grosse come palline da tennis. La cosa, ovviamente, è sempre stata fonte di preoccupazione per i suoi santi genitori. Quando finalmente i medici si sono decisi (difficile che operino prima dei quattro anni), ci hanno detto che quando togli le adenoidi e corri il rischio di un'operazione chirurgica, tanto vale che togli pure le tonsille. Va da sé che anche le tonsille erano belle grosse, come quelle di suo papà.

E quindi ualà, zack e zack, via il dente via il dolore.

E' un intervento di routine, sia chiaro. Ma sai come funzionano i genitori, no? Si preoccupano a cazzo per qualsiasi cosa. E comunque non fa mai piacere vedere tuo figlio rincoglionito dal lexotan (o una roba del genere) mentre sale in sala operatoria in braccio a tua moglie.
Ma niente, dai. Alla fin fine mi sono comportato bene e sono rimasto teso ma abbastanza freddo. Anche perché l'ospedale era lo stesso dove mi sono operato io, il Maria Vittoria di Torino. Il reparto orotinolaringoiatra sembra una casa di riposo, tutto lindo e pulito, tutti gentili che ti vien voglia di rispondergli male per metterli alla prova, provocarli e fare a botte.

E' stato operato lunedì mattina. Quando si è svegliato piangeva ed era dolorante, naturalmente. Ma già nella serata si è calmato e ha cominciato a parlare con una vocina sottile che non gli avevo mai sentito usare. Voleva addirittura alzarsi per andare a fare un giro.
Tzé, un bimbo di quell'età, dopo una giornata scarsa sembra già avere altre preoccupazioni, mentre io mi sono operato un anno fa e oggi non sono ancora a posto, accusando pure le giornate più umide quando la gola tira come una vecchia ferita di guerra, sentendomi a volte incompreso come giuggéi.


A parte tutto, da ieri mattina siamo a casa. Teoè  accasciato sul divano, ancora un po' lagnoso per carità, ma ampiamente distratto dai cartoni (e dai regalini di zie e nonne). Ma alla fine si è comportato parecchio bene anche lui, và, niente da dire.

Sono cose piccoline, ma sai cosa? Colgo al volo e faccio mia una vecchia, celebre massima di Kurt Vonnegut che saggiamente recita:
"Quando siete felici, fateci caso"
Lavoro? Soldi? Spese? Io e mia moglie torneremo a pensarci, ma non ora. Ora abbiamo un peso in meno sullo stomaco e quindi ci godiamo con lui le serate a giocare e le nottate finalmente silenziose (russava come una segheria).

Tutto il resto è brugola. Arriva dopo. Chissenefotte.

Ultima Fermata: Alaska

In questo post del mese scorso, ti ho parlato dei"docu-reality" che ho il coraggio di guardare più spesso. Mancava il primo in classifica, ricordi? Se metti insieme la mia particolare predisposizione per il clima freddo (che è più una naturale avversione per quello caldo) e la mia sonnacchiosa passione per certi treni (non te ne ho mai parlato, ma prima o poi lo farò), la scelta del vincitore era quasi (QUASI) obbligata.


Railroad Alaska, titolo italiano: Ultima Fermata: Alaska (accompagnato dal sottotitolo "La dura vita di chi vive e lavora ai confini del mondo") è una meravigliosa serie prodotta da Discovery Channel e ambientata appunto nell'estremo nord degli Stati Uniti. Segue le vicende della vera ARR (Alaska RailRoad, appunto), ferrovia di classe II che si estende per una lunghezza complessiva di circa 800 chilometri, dalla città di Seward a quella di Whitter, passando per Fairbanks e Anchorage.


E' l'unico tratto ferroviario della zona, fondamentale per l'intero Stato perché è l'unico modo per portare merci e passeggeri da un estremo all'altro del territorio. Senza questa tratta ferrata, l'Alaska si ferma. Da lì passa qualsiasi cosa: dai prodotti alimentari a quelli chimici, dalle medicine agli armamenti.
"L’Alaska è una terra immensa e piena di fascino, che tuttavia sa essere anche molto inospitale, soprattutto per via delle condizioni metereologiche estreme. Qui vivono e lavorano uomini (ingegneri e operai) la cui vita è dedicata a fare funzionare il sistema ferroviario dello Stato.  Ma il gelo, le valanghe e le tempeste di ghiaccio rappresentano ostacoli spesso insormontabili e potenzialmente letali."

La serie in questione (per ora due stagioni da sei e 10 episodi e una terza in preparazione, sembra) segue appunto le vicende di questa squadra di ferrovieri alle prese "con la dura lotta contro il tempo e le insidie del territorio per garantire i servizi essenziali allo Stato". Si tratta di affrontare ghiacciai, nodi di scambio congelati e guasti ai binari.

Ma un disservizio sulla linea, vuol dire anche abbandonare a se stesse molte persone del luogo. Contemporaneamente, infatti, la serie segue anche le personalissime vicende degli abitanti della zona che hanno deciso di vivere nei solitari boschi limitrofi.


E tu ci crederesti che io ne ho fatto una malattia, per questa serie? Guardo le desolate lande innevate dell'Alaska e mi sento a casa, seguo le insidie dei ferrovieri e rimango a bocca aperta. E' proprio un altro mondo, lontano anni luce dal nostro.
Tanto per dire: una mattina d'inverno qualcuno alla ferrovia si sveglia e si rende conto che ha nevicato troppo. Che se il treno passa in un certo punto, potrebbe finire sotto una valanga. E allora niente, prendi l'obice e spariamo un paio di colpi alla montagna, và. Ma dico davvero, non scherzo. Questi tipi prendono l'obice e sparano alla montagna per creare una valanga per poi ripulire il tutto e far passare tranquillamente il treno. E lo fanno con la stessa leggerezza e disinvoltura che ci metterei io a spostare un po' di neve dal parabrezza dell'auto.


Ma Ultima Fermata: Alaskaè in grado di attaccarmi alla poltrona anche perché sono letteralmente innamorato, non chiedermene il motivo, delle locomotive SD70Mac della Electro-Motive Diesel (si, proprio quella blu e gialla che vedi nelle varie foto qui sopra), all'opera anche sull'immensa Union Pacific statunitense. Stiamo parlando di un bestione da 4000 cavalli che lì in Alaska di solito utilizzano a due alla volta, una dietro l'altra in capo al treno. O anche tre, due davanti e una in coda. Questo perché alcuni convogli di trasporto merci, superano il chilometro.

Se ti interessa, ritieniti una personcina fortunata. Sappi infatti che gli episodi di RaiRoad Alaska sono tutti liberamente visibili in streaming (e gentilmente doppiati in italiano) sul sito D-Play del canale D-Max.
Li trovi tutti QUI. Fatti una cultura.




"The Journey of the Penguin": 80 anni di Penguin Books illustrati da Emiliano Ponzi

Ennesimo saporitissimo lavoro firmato da uno dei più noti assi italiani dell'illustrazione, Emiliano Ponzi. The Journey of the Penguinè un libro illustrato in 40 meravigliose tavole che narrano le vicende di un pinguino lungo un percorso immaginario.

O meglio, narrano le vicende DEL pinguino. Quello che da sempreè il simbolo di un celebre, amato editore. Stiamo ovviamente parlando della Penguin Books che festeggia anche così il suo 80° anniversario. Oltre ad essere ormai sinonimo di buona letteratura, la Penguin UKè marchiata dal simpatico sfeniscide perché scelto dallo stesso fondatore, Sir Allen Lane, nel 1935.

Shigeru Mizuki


Non sono un appassionato di manga. In gioventù, forse. Ma neanche troppo. In ogni caso, tra storie di puro intrattenimento e qualche capolavoro, qualcosa ho letto anch'io. Tra le ultimissime cose belle che mi sono passate tra le mani (e dobbiamo comunque tornare indietro di una cinquina d'anni), c'è Kitaro dei Cimiteri. Mi è tornato in mente quando ho letto in questi giorni del suo storico autore, Shigeru Mizuki, uno degli ultimissimi caposcuola vecchio stampo, che si è spento proprio il 30 novembre alla bellezza di 93 anni.

Se leggi due righe su wikipedia, salta subito all'occhio come Mizuki abbia avuto una vita che definire"avventurosa"è dire poco.
"[...] nel 1942 venne arruolato nell'Esercito imperiale giapponese e inviato nell'isola di Nuova Bretagna, in Papua Nuova Guinea. Le sue esperienze di guerra lo scossero: contrasse la malaria, assistette alla morte di amici a causa di ferite di battaglia e di malattie, ed ebbe a che fare con altri orrori di guerra. Infine, in un raid aereo degli Alleati, venne coinvolto in un'esplosione e perse il braccio sinistro. Da mancino, dopo la guerra imparò da solo a scrivere e a disegnare con la mano destra."
Con quell'unico braccio, Mizuki di cose ne ha scritte e disegnate poche, in realtà, ma quelle poche sono parecchio note e molto rispettate da pubblico e critica. Solo negli ultimi due anni, la Rizzoli Lizard si è occupata di portare in Italia quelli che sono ricordati come i suoi capolavori. Tra questi, il volume Verso una Nobile Morte, NonNonBâ (storie di fantasmi giapponesi) eHitler. Tutte cose che vanno dai 19 ai 22 euro, te lo dico subito. Ma che, a quanto si dice, meritano parecchio. 


Come ti dicevo all'inizio, però, io ricordo Mizuki proprio per via della sua opera forse più nota, Kitaro dei Cimiteri (Hakaba no Kitarō), tanto celebre in patria da essersi meritata, nel corso degli anni, numerosi adattamenti per film, anime e videogiochi.
Pubblicata anni fa dalla defunta d/visual in tre volumetti, la serie fu pubblicata originariamente nel 1959 e narra le vicende di Kitaro, ultimo membro in vita della tribù dei fantasmi che combatte per mantenere la pace tra gli uomini e gli yōkai, mostri e fantasmi della tradizione folkloristica giapponese.


 
Le storie viaggiano sempre sui binari di un meraviglioso e affascinante immaginario macabro, donando alla serie un'atmosfera profonda e rendendola un teatrino dell'assurdo che scavalca agilmente i tempi e le mode.
Ecco perché ancora oggi, nonostante sui miei scaffali sia presente pochissimo fumetto giapponese, custodisco gelosamente quei tre volumetti tra quelli degli autori (e Maestri) più visionari e inquietantidi sempre.

Un saluto e un ringraziamento, erano doverosi. 
Grazie, Shigeru.


Postcard from Space


Come apparirebbero le classiche cartoline vacanziere se vivessimo nelle terre rese celebri dall'immaginario fantastico? Alla domanda risponde la bellissima serie di illustrazioni Postcard from Space. La società di produzione Iam8Bitha infatti incaricato animatori e illustratori di Disney,Nickelodeon, Sony,Cartoon Network e altri di dare vita alle suddette cartoline, immaginando destinazioni intergalattiche prese a prestitodai più noti film, serie tv, libri, cartoni animati, videogiochi e fumetti di genere fantascientifico.

Il risultato, naturalmente meraviglioso, è stato prima oggetto di una grande esposizione presso una galleria d'arte nel quartiere Silver Lake di Los Angeles e poi ha fatto il giro del mondo sul web, strizzando l'occhio agli appassionati come poche altre cose.























Hap & Leonard sul piccolo, grande schermo.


Così, tra capo e collo, mi ritrovo all'improvviso davanti al fatto compiuto. Sembra che Sundance TV, il canale televisivo americano del Sundance Film Festival (che trasmette appunto cinema indipendente ma anche documentari, cortometraggi e serie televisive di successo come Rectify o The Road Map), abbia commissionato pochi mesi fa la prima stagione in sei episodi di una nuova serie tv ispirata a Hap & Leonard, il memorabile duoprotagonista di un indimenticabile ciclo di 9 romanzi e una raccoltadi racconti, tutti opera del grande Joe Lansdale.

Lansdale saprai chi è, anche solo per sentito dire. Se non sai chi siano invece Hap & Leonard, puoi sentirti libero di provare vergogna, ma anche no, visto che io stesso ho letto pochissimo (ma quel pochissimo è bastato). Tutto è cominciato nel romanzo "Una Stagione Selvaggia".

"Hap Collinsè bianco, lavoratore della classe operaia. Ha trascorso del tempo, da giovane, in una prigione federale per essersi rifiutato di arruolarsi nell'Esercito degli Stati Unitie di prendere parte alla guerra in Vietnam.Leonard Pineè nero, gay e veterano (delVietnam). Ha seri problemi di autocontrollo." 


In ogni caso, quei primi sei episodi dovrebbero essere pronti per i primi mesi del 2016.A dirigerli sarà il regista Jim Mickle, mentre a scriverli (oltre all'apporto dello stesso Mickle) ci ha pensato Nick Damici, entrambi all'opera in passato su pellicole come Mulberry Street, Stake Land e Cold in July (Freddo a Luglio, adattato dell'omonimo thriller firmato sempre daLansdale).
A vestire i panni dei protagonisti, invece, rispondono all'appello James Purefoy (La Fiera delle Vanità, Solomon Kane, John Carter) e Michael KennethWilliams (The Gambler, The Wire, Boardwalk Empire). Nel cast ancheChristina Hendricks, Bill Sage e Jimmi Simpson.

QUI trovi il blog dedicato alla serie su Sundance TV e QUIla pagina su faccialibro. Insomma, eh, non so tu, ma io qui aspetto con ansia.

La terza stagione di Doctor Who (sulla strada buona per la consacrazione)


La visione degli episodi del buon Dottore procede spedita, complice anche mia moglie che con fare truffaldinoè saltata su a treno già partito. Dopo la prima e la seconda serie, la terza e la quarta danno forma in via definitiva all'infinito universo delDoctor Who e appongono un sigillo di qualità che nelle prime due c'era ma appariva sbiaditoper via di qualche "caratterizzazione" opinabile. In ogni caso ti parlo qui della terza stagione e poi, tra qualche post, pure della quarta.

Le forze in campo sono sempre le stesse, ma di vere e proprie cadute di stile qui non ce ne sono. Qualche episodio più debole o lento si, ma l'evoluzione è palpabile con il passare del tempo. Cresce la qualità delle storie, insomma, che da una parte guadagnano un respiro più ampio e dall'altra vedono meglio tratteggiati i tanti (co)protagonisti e un David Tennant sempre più in parte, con quell'aria da furbetto scanzonato (a casa mia si chiama "faccia di corna") che tanti proseliti ha raccolto per strada, soprattutto tra il gentil sesso.


Dopo l'abbandono di Rose Tyler nel finale della stagione precedente (e tenendo da parte lo speciale natalizio intitolato La Sposa Perfetta in cui faremo la conoscenza di un personaggio cruciale per la quarta stagione), nel primo episodio (Alieni sulla Luna) facciamo subito la conoscenza della nuova spalla del Dottore, Martha Jones, interpretata dalla simpatica attrice di origini ghanesi Freema Agyeman. Il Dottore e Martha, dopo essere stati trasportati sulla luna con un intero ospedale e aver aiutato un brutale gruppo di mercenari Judoona trovare un plasmivoro (alieno vampiro), senza indugiare ulteriormente, simpatizzano con affetto e partono per altri pianeti da salvare (ti accorgi che una serie tv è fuori di melone proprio quando cerchi di raccontare le assurde trame in poche righe).

Mercenari Judoon. Dei giudicidreddi spaziali, insomma, ma con la testa di rinoceronte.

Comunque te la faccio breve. Dei tredici episodi complessivi, ce ne sono alcuni in particolare da sottoporre alla tua attenzione (senza spoilerare). 
Il Codice Shakespeariano (ep. 02), dove i nostri protagonisti approdano nell'Inghilterra elisabettiana per incontrare direttamente il grande Bardo e per evitare che una sua dimenticata opera, Pene d'amor ritrovate, funga da apripista per una bella invasione aliena (che gli episodi in costume ambientati nel passato, si sa, hanno un fascino tutto loro).

Tra Martha e Shakespeare non mettere il Dottore.

In L'Ingorgo (ep. 03), il Dottore porta Marthacinque miliardi di anni nel futuro, in una città il quale livello inferiore è occupato da milioni di vetture in un viaggio eterno. Un enorme ingorgo autostradale costringe i viaggiatori a passare interi anni della loro vita nella speranza di arrivare in superficie. Tutto come in una normale giornata di routine in tangenziale, insomma, se non fosse che nell'episodio in questione comincia ad imperversare in quegli abissi anche una misteriosa e demoniaca presenza.

Una sera in tangenziale, tra le 18.00 e le 19.00.

Nel doppio episodio Natura Umana (ep. 8-9), ci troviamo in una scuola inglese all'inizio del '900 con il Dottore privo di ricordi e misteriosamente mutato in un normale essere umano, mentre un gruppo di alieni chiamati "la famiglia"èsulle tracce del Tardis. Toccherà a Martha, ora cameriera in servizio presso l'istituto, far tornare la memoria al Dottore per consentirgli di mettere una pezza alla questione. Gran bell'episodio.

Il Dottoreall'inizio del '900, elegante, disalienizzato e innamorato.

In Colpo d'Occhio (ep. 10) si sfiora il genio. E'noto soprattutto per aver introdotto per la prima volta la temibile razza aliena degli Angeli Piangenti (Weeping Angels, in originale). E' difficile anche solo raccontarti la trama. Ti basti sapere che il Dottore (che apparirà solo in un video registrato e in un paio di minuti scarsi dal vivo) è intrappolato con Martha nel 1969 e cerca di lasciare messaggi che nel nostro presente dovrà leggere una ragazza che avrà il compito di portarlo "indietro" e combattere la spaventosa minaccia degli Angeli. Meraviglioso.

Cucù! Se li guardi restano immobili. Se non li guardi, ti mangiano pure le ossa.

Tripudio di miccette per il trittico finale in chiusura di stagione che guarda a ritmi e toni più cinematografici. Negli episodi Utopia, Il Suono dei Tamburi e L'Ultimo Signore del Tempo (ep. 11-12-13), il Dottore scopre di non essere appunto l'ultimo Signore del Tempo rimasto in circolazione. Ma il suo "compatriota", noto solo come "Il Maestro" non è da mettere esattamente nella metà buona della lavagna e preso il posto delpolitico ingleseHarold Saxon, scalerà rapidamente il potere per dare il via alla più grande invasione aliena che il mondo ricordi. Tutti uniti contro Saxon, quindi. Ma in questi episodi assisteremo anche ad una spietata caccia al Dottore e al coinvolgente scontro successivo. Ricordato dai fan anche per via dell'incredibile rivelazione finale che riguarda l'immortale"Capitano"Jack Harkness di Torchwood.

La difficile vita del Dottore: tecnologie pezzentelle contro unaspietatissima nemesi.

Infine, se proprio devo tirar fuori qualcosa di meno riuscito, posso citare solo il lento doppio episodio L'Evoluzione dei Daleks (ep. 4-5) che parte comunque da buone premesse. Martha e il Dottore sono nella New York degli anni '30, in piena grande depressione, e sono costretti a fronteggiare l'ennesimo tentativo degli spietati antagonisti meccanici, i Dalek, che vogliono impossessarsi del nostro caro pianeta (curiosità: nel cast compare un Andrew Garfieldall'alba della sua giovane carriera cinematografica).


Conclusioni: nonostante qualche raro momento soporifero e qualche effettino ancora posticcio (soprattutto dove si cerca di andare al di là dei mezzi a disposizione), questa terza stagionepone le basi per l'imprimatur di qualitatà definitivo. Quello grazie al quale questa serie raccoglie, a conti fatti, tanti consensi ancora oggi, anche al di fuori del suolo britannico.
Per quanto insomma si resti lontano dalle seriose produzioni televisive alle quali la fantascienza moderna ci ha abituati (che in realtà è proprio uno dei pregi dell'intera serie), non si può davvero non voler bene a QUESTO Dottore, alle fantasiose trame e alle "artigianali" atmosfere dei vari episodi.

Asterix e il Papiro di Cesare

Con l'improvvisaacquisizione dei diritti di qualche mese fa, la Panini annunciò anche la pubblicazione del 36° albo della serie di AsterixintitolatoAsterix e il Papiro di Cesare(albo distribuitolo scorso 22 ottobre in contemporanea mondiale). Si tratta del secondo volume curato dalla coppia creativa composta dallo scrittoreJean-Yves Ferri e dal cartoonist Didier Conrad (già autori, appunto, del precedente Asterix e i Pitti nel 2013).

Come già accaduto un paio di anni fa, i fan erano fatalisti sulla buona riuscita dell'opera, paventando i vecchi e inarrivabili fastidegli originali diRené Goscinny e Albert Uderzo.Personalmente non mi sono mai fatto problemi del genere. Per quanto io ritenga Goscinny e Uderzo una meravigliosa coppia che ha fatto, in parte, la storia del fumetto, da un nuovo duo creativo non mi aspetterei mai i picchi di quello precedente ma una strada diversa da percorrere e nuovi stimoli più al passo con i tempi.

Contrariamente alle aspettative, Asterix e il Papiro di Cesare riesce invece nel duplice intentodi accontentaresia me sia il fan più "duro": da una parte si pone esattamente nel solco della tradizione delle storie classiche, dall'altra riesce a rinnovare e rinverdire i vecchi fasti con gag e citazioni più attuali.


Tutto parte da un interessantissimo presupposto: 
Nel 50 a.C. Cesareredige i suoi Commentarii de bello Gallico e li mostra al suo editore e consiglierePrimus Bestsellerus. Questi però gli consiglia di tagliare un capitolo in particolare, quello che riguarda il villaggio (quello di Asterix e compagni, naturalmente) che ancora oggi resiste senza fatica alle incursioni dell'Impero Romano, in modo da passare ai posteri una "verità" storica molto più di comodo che narra diCesare come del conquistatore dell'intera Gallia senza eccezioni.

D'accordo quindi con Cesare, Bestsellerus, che aveva già messo all'opera tutti i suoi scribi, ordina di distruggere il capitolo incriminato da tutte le copie già terminate del manoscritto. Ma uno di quei capitoli, vergato su papiro, finisce nelle mani del "gossiparus" (antico giornalista) Vispolemix che decide di rifugiarsinel villaggio gallico, chiedendo protezione al capoAbraracourcix e ai suoi uomini. Una volta venuti a conoscenza dei fatti, Asterix, Obelix e Panoramix, partono per un viaggio che li condurrà nella foresta dei Carnuti, da Archeopterix, il sapiente druido dalla memoria prodigiosa che metterà il capitolo segreto al sicuro, memorizzandolonella propria testa.

Le reazioni dei galli alla notizia dell'uscita del nuovo libro di Cesare.

Il gossiparus Vispolemix sogna ad occhi aperti il titolo del suo grande scoop.

Le macchinazioni di Ferri, prevedono sullo sfondo una serie di divertenti situazioni quali la lettura pubblica dell'oroscopo, ai quali i galli sembrano prestare molta fede (e in seguito al quale Obelix si convincerà a mangiare meno e ad evitare le dispute dirette) e le argute riflessioni sul mondo editoriale, sul giornalismo e sul controllo dell'informazione (rinfocolando il perenne dibattito sulle differenza tra la Storia reale e quella tramandataci "solo"dalla scrittura).

"Le persone tendono a credere a tutto quel che trovano scritto."

Tra le curiosità dell'albo:per la prima volta, credo, il druido Panoramix assume (con esiti assai frenetici) la bevanda magica che per tanti anni ha preparato per i suoi compaesani e compare addormentato, durante il classico banchetto finale, ai piedi dell'albero che quasi sempre ha visto invece, appeso e con la bocca tappata, il bistrattato bardo Assurancetourix.

Didier Conrad, scelto non a caso come successore di Uderzo vista la sua lunga esperienza nel fumetto umoristico, confeziona delle tavole dal tratto meno realistico ma allo stesso tempo più accuratoe dettagliato rispetto ad altri suoi lavori (come Les Innommables, tanto per citarne uno), garantendo una continuità grafica voluta espressamente, sembra, dall'editore stesso.

In conclusione, per quanto mi riguarda, Asterix e il Papiro di Cesareè una divertente e riuscitissima storia promossa a pieni voti. Bravò!


Piccolo appunto a latere: la Panini rimane nel classico formato e fornisce il dorsetto di un semplice numerino (il 36, appunto), non scontentando chi, come me, aveva appena concluso la collezione in edicola. C'è da dire che questaedizionedell'editore modenese, per quanto ben confezionata e dettata dalla pubblicazione in contemporanea mondiale, manca di una certa "magia" rispetto aquella allegata alla Gazzetta. Non solo per il prezzo, ovviamente, ma soprattutto per la totale mancanza di articoli, redazionali o approfondimenti. Ma così è, se vi pare. Quindi pace.

Star Trek Beyond, il primo trailer un po' così


Non sono mai stato un trekkiano integralista. I primi due film del nuovo corso, tanto per dire, mi sono piaciucchiati. Il secondo più del primo. Gèigèi Abrams ha cercato di recuperare lo spirito roddenberryano originale infondendo allo stesso tempo nuova linfa vitale in modo da svecchiare la serie e renderla più moderna (obiettivo più che lecito).
Ha cercato, dicevo. Che ci sia riuscito o meno, però, è un altro paio di maniche. Per il terzo capitolo del reboot, poi, c'era da risolvere un problema. Gèigèi avrebbe continuato a seguire il progetto (producendolo), ma avrebbe lasciato vacante la sedia della regia in quanto impegnato, come ormai sanno pure i monaci tibetani, nel rilancio di Star Wars.

Chi lo avrebbe sostituito?

Quando qualche tempo fa fu messo insieme il team perStar Trek Beyond, qualcuno (me compreso, lo ammetto) ha storto il naso a prescindere, per un paio di buoni motivi:
  1. Sembra che la Paramount, all'inizio della lavorazione, avesse comunicato un imperativo inappellabile: il nuovo Star Trek sarebbe dovuto essere "meno Star Trek e più Guardiani della Galassia".
  2. Il regista designato, Justin Lin, era per lo più noto per aver girato quattro film della serie Fast & Furious (ma anche l'interessante Annapolis con James Franco e Tyrese Gibson e, ultimamente, i primi due episodi della seconda stagione di True Detective). Suonava più o meno come aver messoJohn Woo su Twin Peaks, tanto per capirsi.
In pratica le direttive sembravano più che chiare, confermate purtroppo dal primo trailer che da ieri imperversa in rete.
Azione, calci volanti, spara spara laser, Sith che hanno sbagliato set, piroette in motocicletta (??), momenti giggioni, altri momenti giggioni (i protagonisti di Fast & Furious viaggiano nel tempo e atterrano nel mezzo di una battaglia tra i Guardiani della Galassia e l'Impero di Star Wars).
Si scherza, ovviamente, ma quel che resta sembra effettivamente un film giggioneggiante che dello spirito originale conserva praticamente nulla ma che, per fare un dispetto a tutti i fan più "duri", uscirà negli Stati Uniti a luglio del 2016 proprio in occasione del 50° anniversario dal debutto della serie tv.

Il cast, almeno quello, rimane invariato e aChris Pine (Kirk), Zachary Quinto (Spock), Karl Urban (McCoy), Simon Pegg (Scott) e Zoe Saldana (Uhura) si è aggiunto anche il buon Idris Elba.

Sta bene. Non mi faccio il sangue amaro, né grido impugnando il forcone. Spero solo, a questo punto, di riuscire a vedere un buon film d'azione, divertente e con un minimo di trama interessante (ciò che potrebbe sembrare, a conti fatti, guardando il trailer qui sotto ma eliminando dalla tua testa l'idea che sia un film di Star Trek).

Questo perché, fondamentalmente, in certi casi sono una persona buona che continua a sperare nelle cose belle e perché mi basta vedere quelle uniformi colorate indossate da qualcuno per farmi ricadere in amore.

Felicissimo, poi (giurin giuretta!), se l'operazione dovesse riuscire a rinverdire i fasti della saga roddenberryana e arrivare quindi per davvero "là dove nessuno è mai giunto prima".


Occhio di Falco, la fine

Con questo dodicesimo numero di Occhio di Falco (a dieci mesi di distanza dal precedente e dopo due anni e mezzo circa dal primo), Matt Fraction e David Aja mettono la parole fine alla loro lunga, fantastica run.
Tanto chiacchierata, minuziosamente setacciata dalla critica, acclamata dai fan e infine sempre premiatissima.22 numeri, in originale, in cui si sono alternate le vicende di Clint Barton e Kate Bishop (ma alla fine dedicata anche a tutte le donne del protagonista e a tutti gli Occhio di Falco in generale dell'intero universo Marvel) e dove Fraction, volente o meno, ha rivisto il canone di un certo modo di fare fumetti d'intrattenimento in America, dando vita ad un nuovo modo di concepirli, facilitato forse dal ripescaggio di personaggi meno noti (quindi con meno paletti tra i quali districarsi) e un sapiente, ricercatissimo dosaggio tra azione e riflessione. Fatto sta che da tempo ormai una pletora di emuli cerca di ripercorrere la sua stessa scrittura "frizzante" con risultati mai particolarmente degni di nota (fino a questo momento, per lo meno).

Nell'intero arco narrativo,Fraction ha strizzato l'occhio in ogni modo al suo lettore. Dai riferimenti musicali alle citazioni cinematografiche, l'autore da una parte ha accontentato il lettore un po' più esigente e dall'altra ha creato un mood fresco e moderno per i nuovi lettori. Prova ne è come sia riuscito a rendere anche personaggi assolutamente dimenticabili e privi di qualsiasi spessore, in characters "cool"che hanno più di qualcosa da dire (vedi su tutti, una meravigliosa Kate Bishop).


Ma il merito, come sai, non è del solo Fraction. In parte ho già cercato di spiegarti tutto in questo vecchio post e la situazione non è tanto cambiata, da allora. Il lavoro al tavolo da disegno (soprattutto di storyboarding) di David Ajaè stato pressoché fondamentale per la buona riuscita dell'intera serie. Se da un punto di vista prettamente visivo il suo tratto non brilla particolarmente in quanto a intensità o caratterizzazione, da quello grafico e compositivo è riuscito a creare un certo standard (anche quello ormai copiatissimo) che conferisce una forza e una dinamicità difficili da trovare altrove, codificati fino ad ora solo da un certo tipo di fumetto non mainstream (la qual cosa, ne sono sicuro, gli procurerà in futuro solo lavori di un certo spessore).

Una bella nota di merito va anche aAnnie Wuche hadisegnato le storie sponda Kate Bishop. Nonostante fosse naturalmente offuscata da Aja (per una questione di prime linee), il suo tratto sipido e fresco ha saputo giustamente ritagliarsi un belposticino a tavola.

Ultima nota: l'ironia è stato un altro fattore determinante per la buona riuscita della serie, anche se negli ultimi numeri non si è riso un granché. Anzi, in occasione del gran finale l'atmosfera si è fatta pesante e tutto è mutato in tragedia. E' accaduto da quando è apparso il Clown, un nuovo villain creato ad hoc e caratterizzato in modo da risultare spaventoso il giusto, nonostante la mancanza di un background adeguato,nella propria elegante mise (questo sempre a proposito delle capacità di Fraction).


Si chiudono qui, quindi, tutti i punti rimasti in sospeso e si apre qualche porticina qui e lì (solo per dare aria alla prossima gestione, immagino) di quella che a tutti gli effetti si è rivelata come una delle corse a fumetti più divertenti e godibili dell'ultimo decennio.Quando c'è un certo tipo di intimità, spesso ci sono gran belle storie da leggere. E l'intimità, inutile negarlo, è il pane e salame diFraction.
Da leggere assolutamente, insomma, soprattutto ora che la Paniniha cominciato a ristampare il tutto in volumi.

Ora, con la nuova ennesima ripartenza (All-New, All-Different, All-termine a caso che preferisci ripetuto quante volte vuoi), la palla passa a due nuovi autori, Jeff Lemire ai testi e Ramòn Pérez ai disegni. Sono sicuro che anche loro avranno qualcosa di saporito da raccontare, ma raggiungere i livelli di Fraction e Ajaè impresa assai ardua.

BÆBEL


Creato nell'ottobre scorso duranteuna giornata presso il Room &Board di Brooklyn daGregor Weichbrodt, BÆBEL nasce dalle singole schede per il montaggio dei mobili Ikea (che anche tu che leggi, chiunque tu sia, conosci bene), mescolate e rinumerate per formare un unico, monolitico manuale d'istruzioni di circa 700 pagine. Julia Pelta Feldman, direttrice di Room & Board, ne ha parlato così:
"Il nome di BÆBELsuggerisceun'ambizionesconcertante-ese hai seguitole istruzioni Ikea eassemblato il tutto in un unico mobile, che cosa potrebbe essere se nonuna torre perDio? - e rappresenta di una promessadi comprensioneuniversale: il potere di Ikea si basasulla comunicazionetra le varie lingue,ecco perché nei suoi manuali, a corredo delle eleganti immagini,è assente la parola in ogni sua forma."
Ma perché, ti chiederai. Me lo chiedo anch'io. Presumo sia un po' come quando tre o quattro anni fa stamparono tutte le pagine di Wikipedia facendone venir fuori non so quanti tomi da mille pagine l'uno. Anche se il perché sfugge, il progetto sembra divertente. A me ha fatto ridere.


Weichbrodt ha realizzato il progetto sotto creative commons, quindi puoi scaricarne 300 pagine in PDF QUI o comprare il libro QUI nella sua versione cartacea (formato: 21,6x28 cm, 686 pp, Copertina morbida, rilegato, bianco e nero, 1,93 kg di peso, prezzo: 17,49 euro IVA esclusa).

Bòh.



Blake e Mortimer, la Grande Avventura


Ormai è cosa nota. Dal prossimo 30 dicembre la Gazzetta manda in edicola il nuovo collaterale bédé dedicato alle avventure di Blake e Mortimer, il duo creato da Edgar P. Jacobs nel 1946. In molti speravano in un'edizione curata e cartonata come quella di Asterix o del Lucky Luke Gold. Invece, incontrando i favori di tutti gli altri, confezione e prezzo saranno economici, così come è stato per Michel Vaillant, Ric Roland, il primo Lucky Luke (non "Gold") e la collana ombrello I Classici del Western.

Ogni albo raccoglierà però solo UNA storia originale (pubblicate in ordine cronologico, non di pubblicazione ma seguendo le date in cui si svolgono le storie*) arricchita, come si grida anche nell'immagine promozionale sopra, da una serie di "contenuti inediti" (che per ora non ci è dato sapere quali possano essere). La cosa è più chiara dando uno sguardo al piano dell'opera (che in parte trovi qui), dove Il Segreto dell'Espadon, storia originariamente divisa in due albi, viene divisa addirittura in tre, così come accaduto per ragioni commerciali nella prima edizione italiana.

* Peccato però che in questo modo il primo albo di questa edizione ospiterà una storia non di Jacobs, Il Bastone di Plutarco, pubblicata in francia nel 2014 e che, se non erro, si svolge cronologicamente prima de Il Segreto dell'Espadon.


Personalmente ho letto pochissime storie della serie. Tra queste, da una parte la manifesta (non)volontà di porsi a volte lontano dal linguaggio fumetto propriamente noto (alcune tavole delle primissime storie sono talmente farcite di balloon e parole da farlo sembrare più un racconto illustrato), dall'altra alcune delle avventure più interessanti e coinvolgenti dell'intero panorama franco-belga.

Visti questi motivi, il solito prezzo contenuto e il fatto che in poco meno di una ventina di uscite si dovrebbe completare l'intera collezione, direi che questo Blake e Mortimerè assolutamente da provare.

Solo il mimo canta al limitare del bosco

Le angherie dei bulli a scuola per via del suo animo quieto, l'abbandono in ospedale in tenera età per essere "curato" con dolorose terapie a causa di un disturbo al cuore, gli anni del liceo, la partenza per la 2a Guerra Mondiale, i primi racconti e i primi refoli di successo che coincisero con un periodo difficile segnato dall'alcolismo, la successiva disintossicazione e la rinascita vera e propria come scrittore. Walter Tevis ha avuto una vita molto particolare, si.

Le sue opere si contano sulle dita di un paio di mani scarse, sei romanzi e una raccolta di racconti. Ma se guardi i titoli, ci trovi un tesoretto inestimabile: Lo Spaccone (The Hustler, 1959), L'Uomo che Cadde sulla Terra (The Man Who Fell to Earth, 1963), Lontano da Casa (Far from Home, 1975), A Pochi Passi dal Sole (The Steps of the Sun, 1983), La Regina degli Scacchi (The Queen's Gambit, 1983), Il Colore dei Soldi (The Color of Money, 1984).

Lo Spacconeè stato adattato sul grande schermo da Robert Rossen con Robert Newman. Per il seguito, Il Colore dei Soldi, ci ha pensato Martin Scorsese riportando di nuovo in scena Newman e anche Tom Cruise. L'Uomo che Cadde sulla Terra, come sai, è ancora oggi una pellicola celebratissima dagli appassionati di fantascienza (e non solo), che ha visto Nicolas Roeg alla regia e uno strepitoso David Bowie nei panni del protagonista alieno.

Insomma. Poche cose, come dicevo, ma tutte di un certo peso.

Nel mezzo di queste belle opere, più o meno nel 1980, si pone il bellissimo romanzo Mockingbird, tradotto in Italia prima con il titolo Futuro in Trance e poi con il più suggestivo Solo il Mimo Canta al Limitare del Bosco (ristampato proprio recentemente con la giusta cura da Minimum Fax, così come ha fatto per quasi tutti gli altri titoli dello scrittore americano).

"Siamo nel 2467 e da diverse generazioni sono i robot a prendere ogni decisione, mentre un individualismo esasperato regola la vita dell’uomo: la famiglia è abolita, la coabitazione vietata e ognuno assume quotidianamente un mix di psicofarmaci e antidepressivi.
I suicidi sono in aumento, non nascono più bambini e la popolazione si avvia all’estinzione. Simbolo e guardiano dello status quo è Spofforth, androide di ultima generazione che agogna un suicidio che gli è però impedito gli dalla sua programmazione.
A lui si contrappongono Paul Bentley, professore universitario che, riscoperta casualmente la lettura dimenticata da tempo, grazie ai libri apprende l’esistenza di un passato e la possibilità di un cambiamento, e Mary Lou, che sin da piccola ha rifiutato di assumere droghe pur di tenere gli occhi aperti sulla realtà.
Tevis si muove dall’incrocio di queste tre vite creando una distopia postmoderna sulle inquietudini dell’uomo, dove la tecnologia senza controllo si trasforma da risorsa a pericolo."

Un punto fondamentale del libro, più di quanto la sinossi qui sopra lasci intendere, è che Tevis in parte gioca su un terreno molto fertile, quello che tanta passione scaturisce negli appassionati lettori. Ovvero la lettura stessa.
In questo mondo del 2467 si è persa la capacità di leggere e di scrivere. La lettura, in quanto processo di decodifica della parola scritta, non è più riconosciuta o anche solo ricordata.
Sarà Paul Bentley a riportarla alla luce, quando troverà delle vecchie pellicole di film sottotitolati e alcuni libri logori e ammuffiti. E da quel momento Paul diverrà persona assai importante, in netta contrapposizione con Spofforth, androide di ultima generazione, che fino ad allora aveva traghettato il mondo nel futuro assieme ai suoi simili (ma a quali costi!) e che da un certo punto in poi potrebbe essere considerato alla stregua di un inutile ammennicolo.
"Faceva parte della mia educazione demenziale… un'educazione che avrebbe dovuto liberare la mia mente per una vera crescita e l'autocoscienza e la fiducia in me stesso, e che era stata soltanto una frode. La mia educazione, come quella di tutti gli altri membri della Classe dei Pensatori, mi aveva trasformato in uno sciocco egocentrico, privo di immaginazione e asservito alle droghe. Fino a che non avevo imparato a leggere, ero vissuto in un mondo sottopopolato di sciocchi egocentrici e asserviti alle droghe, e tutti vivevano secondo le nostre Regole della Privacy in un folle sogno di autorealizzazione."
Ma la verità è che Solo il Mimo Canta al Limitare del Boscoè un piccolo, meraviglioso libro che nella sua (voluta) ingenua semplicità, tocca argomenti e corde importanti: la libertà, l'amore, il futuro.
Una fiaba moderna dal sapore squisitamente nostalgico, insomma, arricchita dalla scrittua di Tevis, incisiva e senza fronzoli, piacevolmente lieta di essere divorata dagli occhi. Sotto le dita passano trecentoquaranta e passa pagine e nemmeno te ne accorgi. Un piccolo, meraviglioso gioiello.

Detto questo...

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